Questo volume colloca al suo centro una riflessione critico-narratologica sui romanzi di Thomas Hardy, mostrandone quei dilemmi e quelle contraddizioni che, caratteristicamente, riflettevano le profonde lacerazioni epistemico-culturali della società vittoriana di cui lo scrittore, con estrema consapevolezza sociale, mise in evidenza le maschere dell’ipocrisia e della doppiezza. Operando una selezione testuale volta a recuperare le opere narrative meno frequentate dalla critica – Desperate Remedies, Two on a Tower, The Hand of Ethelberta, A Laodicean, A Pair of Blue Eyes e The Well-Beloved – l’analisi propone una revisione del realismo di Hardy, mostrandone le tensioni sensazionalistiche in una combinatoria degli eventi che rivela il suo persistente gusto per l’intreccio. Attraverso l’accostamento di antirealismo, visione tragica, fatalismo, melodramma e coincidenze improbabili, Hardy non cerca di mascherare gli stratagemmi finzionali, ma attesta proprio l’artificialità della finzione, in una sorta di processo metanarrativo e demistificatorio delle pratiche realistiche. Non appare casuale, allora, la scelta del termine romance con cui l’autore stesso definisce le sue opere. Perché queste si muovono al di là della logica reale e della casualità. E se in un’opera realistica lo scrittore cerca di evitare le coincidenze esasperate facendo finta che le cose accadano grazie a una loro intrinseca probabilità e usando una tecnica che renda i personaggi prioritari alla trama, nei romanzi qui presi in esame Hardy fa leva invece sulla casualità, su delle regole di composizione che sembrano minare i più solidi principi di coerenza narrativa. L’estrema complicazione degli intrecci, lo schema rigido e ridondante tipico del modello fiabesco sono solo la proiezione esasperata della visione del mondo dell’autore. L’utilizzo del codice fabulistico, che vede quale massima espressione modale il gioco del caso e della coincidenza, spingendo i personaggi a continui e inspiegabili incontri e peregrinazioni, diventa sintomatico della prigionia della volontà umana e della più completa inutilità della vita e delle scelte individuali, in un universo in cui domina la fatalità e la forza di un inesorabile destino. I simboli dello specchio e della clessidra esprimono la modellizzazione del mondo hardiana volta a introiettare la dimensione percettiva e temporale. Quella di Hardy è una realtà inconoscibile, che non si specchia in nulla, che non trova alcuna raffigurazione fedele di sé, ma solo un’interpretazione distorta e sproporzionata. Di qui lo specchio non come perfezione analogica dell’immagine ma come strumento della trasformazione. Esso è lo strumento per interrogarsi sulla rappresentabilità del reale, è la metafora ingannevole del rapporto tra arte e realtà, poiché restituisce solo un’immagine infedele. I paradigmi della finitudine e della precarietà umana rinviano all’altro simbolo, quello della clessidra, che sancisce l’instabilità e il passaggio inesorabile del tempo. Nella sua simmetria e nella sua reversibilità si percepisce l’aspirazione a trascendere i limiti umani per conquistare un rapporto più intenso e autentico con la temporalità. Quella dei personaggi hardiani allora, non è solo una lotta contro l’erosione del tempo, ma anche la ricerca di una temporalità individuale che permetta di sottrarsi ai limiti e alle scansioni dell’eterno fluire. Nell’ambigua natura del tempo e nelle conseguenti sfasature cronologiche presenti nei testi hardiani si percepiscono le tracce di una tensione modernista; il rifiuto dell’ordine, della regolarità e di un’armonia strutturale e paradigmatica è ciò che fa della scrittura hardiana una sfida alle convenzioni formali e tematiche del romanzo, in linea con quelle che Frank Kermode definisce le “discoveries of dissonance”.

Lo specchio e la clessidra. Uno studio della narrativa di Thomas Hardy

ETTORRE, Emanuela
2007-01-01

Abstract

Questo volume colloca al suo centro una riflessione critico-narratologica sui romanzi di Thomas Hardy, mostrandone quei dilemmi e quelle contraddizioni che, caratteristicamente, riflettevano le profonde lacerazioni epistemico-culturali della società vittoriana di cui lo scrittore, con estrema consapevolezza sociale, mise in evidenza le maschere dell’ipocrisia e della doppiezza. Operando una selezione testuale volta a recuperare le opere narrative meno frequentate dalla critica – Desperate Remedies, Two on a Tower, The Hand of Ethelberta, A Laodicean, A Pair of Blue Eyes e The Well-Beloved – l’analisi propone una revisione del realismo di Hardy, mostrandone le tensioni sensazionalistiche in una combinatoria degli eventi che rivela il suo persistente gusto per l’intreccio. Attraverso l’accostamento di antirealismo, visione tragica, fatalismo, melodramma e coincidenze improbabili, Hardy non cerca di mascherare gli stratagemmi finzionali, ma attesta proprio l’artificialità della finzione, in una sorta di processo metanarrativo e demistificatorio delle pratiche realistiche. Non appare casuale, allora, la scelta del termine romance con cui l’autore stesso definisce le sue opere. Perché queste si muovono al di là della logica reale e della casualità. E se in un’opera realistica lo scrittore cerca di evitare le coincidenze esasperate facendo finta che le cose accadano grazie a una loro intrinseca probabilità e usando una tecnica che renda i personaggi prioritari alla trama, nei romanzi qui presi in esame Hardy fa leva invece sulla casualità, su delle regole di composizione che sembrano minare i più solidi principi di coerenza narrativa. L’estrema complicazione degli intrecci, lo schema rigido e ridondante tipico del modello fiabesco sono solo la proiezione esasperata della visione del mondo dell’autore. L’utilizzo del codice fabulistico, che vede quale massima espressione modale il gioco del caso e della coincidenza, spingendo i personaggi a continui e inspiegabili incontri e peregrinazioni, diventa sintomatico della prigionia della volontà umana e della più completa inutilità della vita e delle scelte individuali, in un universo in cui domina la fatalità e la forza di un inesorabile destino. I simboli dello specchio e della clessidra esprimono la modellizzazione del mondo hardiana volta a introiettare la dimensione percettiva e temporale. Quella di Hardy è una realtà inconoscibile, che non si specchia in nulla, che non trova alcuna raffigurazione fedele di sé, ma solo un’interpretazione distorta e sproporzionata. Di qui lo specchio non come perfezione analogica dell’immagine ma come strumento della trasformazione. Esso è lo strumento per interrogarsi sulla rappresentabilità del reale, è la metafora ingannevole del rapporto tra arte e realtà, poiché restituisce solo un’immagine infedele. I paradigmi della finitudine e della precarietà umana rinviano all’altro simbolo, quello della clessidra, che sancisce l’instabilità e il passaggio inesorabile del tempo. Nella sua simmetria e nella sua reversibilità si percepisce l’aspirazione a trascendere i limiti umani per conquistare un rapporto più intenso e autentico con la temporalità. Quella dei personaggi hardiani allora, non è solo una lotta contro l’erosione del tempo, ma anche la ricerca di una temporalità individuale che permetta di sottrarsi ai limiti e alle scansioni dell’eterno fluire. Nell’ambigua natura del tempo e nelle conseguenti sfasature cronologiche presenti nei testi hardiani si percepiscono le tracce di una tensione modernista; il rifiuto dell’ordine, della regolarità e di un’armonia strutturale e paradigmatica è ciò che fa della scrittura hardiana una sfida alle convenzioni formali e tematiche del romanzo, in linea con quelle che Frank Kermode definisce le “discoveries of dissonance”.
2007
9788820740252
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11564/103329
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