Abstrac P. Nardone, Portualità e navigazione in Abruzzo nella prima metà del XIX secolo, Bari, ed. Cacucci, 2008. Il tema della navigazione e della portualità in età moderna e contemporanea ha da sempre destato l'interesse della storiografia economica che ha prodotto, al riguardo, una pregevole bibliografia. Lo studio della letteratura esistente unito a quello di una cospicua documentazione archivistica hanno permesso la realizzazione del volume in esame, nel quale l'autrice si sofferma ad analizzare diversi aspetti dell'economia marittima adriatica in una delle province di frontiera del Regno delle Due Sicilie. Il periodo storico di riferimento è quello dell'Ottocento preunitario, un'epoca ricca di fermenti e cambiamenti economico-sociali che produssero notevoli effetti anche nel settore marittimo. Il lavoro si apre con uno spaccato dedicato alla "gente di mare", ossia a tutti coloro che a diverso titolo lavoravano nei porti abruzzesi, al proposito vengono indicate due categorie professionali, quelle che operavano all'interno dei siti portuali e quelle addette alla navigazione. Nel primo caso vengono accertate e ricostruite mansioni e competenze del capitano del porto, del sindaco marittimo e comunale, delle guardie doganali e dei deputati di salute, ma anche delineato il quadro normativo relativo alle procedure sanitarie che regolavano il commercio marittimo e la documentazione necessaria per la navigazione. Nel secondo caso si individuano diverse figure giuridiche, come quelle dei singoli proprietari e delle società marittime e, per entrambe, viene indicata la corrispondente "flotta" locale; ampio spazio è dedicato ai cosiddetti "padroni" ossia coloro che comandavano sui natanti, ma, soprattutto ci si sofferma sui marinai e sui passeggeri. Al proposito vengono descritte le procedure di arruolamento dei marinai e calcolate le presenze degli equipaggi sia nazionali che esteri nei porti abruzzesi, infine viene osservato il movimento delle persone che per motivi di lavoro, privati o turistici usufruivano del trasporto marittimo e transitavano negli scali in esame. Nella seconda parte del volume l'autrice ricostruisce lo stato di fatto delle infrastrutture portuali abruzzesi, i progetti e le opere realizzate, evidenziando il rapporto economico che legava i siti con le principali cittadine marittime e l'immediato entroterra collinare e montano. Il fulcro del lavoro è però rappresentato dal movimento di tutte le imbarcazioni che per qualunque motivo approdarono negli scali della regione. A tal fine vengono censiti i singoli velieri, indicandone la tipologia, il tonnellaggio, la nazionalità, la provenienza, la destinazione, il carico ed i giorni di navigazione. Ne emerge uno spaccato interessante dell'Abruzzo marittimo, inserito a pieno titolo nel circuito interno ed internazionale, nel quale ogni sito portuale sembra avere proprie peculiarità. In particolare l'approdo pescarese risulta senza dubbio quello caratterizzato da una maggiore vivacità, vi si registra infatti il maggiore movimento di uomini, merci e imbarcazioni, anche se queste ultime risultano essere generalmente di modeste dimensioni e dedite in più che altro al piccolo cabotaggio. Di minore entità i transiti nei porti di Ortona e Vasto, caratterizzati però da bastimenti con maggiore tonnellaggio. Le differenze rilevate esaminando il traffico marittimo nei porti abruzzesi da una parte rispecchiavano le condizioni strutturali nelle quali versavano i diversi siti, dall'altra erano anche la conseguenza del differente ruolo che ciascuno aveva nel commercio marittimo. Se infatti il porto fluviale pescarese con i suoi bassi fondali mal si prestava al ricovero del naviglio più grande, che rimaneva ormeggiato nel tratto di mare antistante la città, era pur vero che la movimentazione delle merci risultava notevolmente facilitata dal fatto che le banchine erano prossime al centro urbano; questo infatti sorgeva nelle immediate vicinanze del fiume, era sede di una importante fortezza militare, e vantava le "migliori" infrastrutture viarie di tutto l'Abruzzo costiero. La tipologia di commercio marittimo era di conseguenza più variegata, molti i prodotti in arrivo, per lo più manufatti, generi coloniali, medicinali, variegata anche la gamma delle merci in partenza anche se prevalentemente di natura alimentare. Di altra portata il traffico marittimo che interessava i porti di Ortona e Vasto; siamo in questo caso di fronte a siti naturali ricavati in golfi ed insenature con a ridosso una costa rocciosa e, di conseguenza, dotati di fondali scogliosi e di maggiore profondità. La morfologia del litorale che sembrava avvantaggiare tali scali offrendo loro la possibilità di ricoverare un naviglio di elevato tonnellaggio li penalizzava nei collegamenti viari con i rispettivi centri urbani. Va infatti rilevato che questi ultimi erano entrambi ubicati in zona collinare, a notevole distanza dalle strutture portuali con le quali erano mal collegati, ed inoltre vista la montuosità della costa erano carenti di infrastrutture viarie di supporto che li collegassero agevolmente con l'entroterra e con le principali direttrici terrestri. Tali porti possono a ragione essere indicati come veri e propri "caricatoi", entrambi infatti si caratterizzavano per la loro "funzione" di sbocco dei prodotti agricoli dell'entroterra, in particolare frumento, olio e vino. E' infatti particolarmente evidente il cosiddetto fenomeno delle navi "vacanti", ossia di imbarcazioni che partite dai maggiori porti del Regno approdavano senza alcun carico negli scali in esame, in definitiva vi si recavano appositamente per prelevare prodotti agricoli locali. Per tutti i porti abruzzesi è il circuito commerciale interno del Regno a destare il maggiore interesse economico, numerosissimi gli scambi con la costa pugliese, rilevanti anche quelli con l'area del napoletano. Dando uno sguardo al circuito internazionale nel corso del XIX secolo si nota anche su questo versante una certa vivacità (tranne nel caso del porto di Vasto, dedito solo al commercio interno). In particolare se è vero che si assiste ad una lenta ma inesorabile riduzione del movimento commerciale con il porto di Ancona (che del resto proprio in tale secolo sembra assumere un ruolo secondario nel commercio marittimo adriatico), si nota un intensificarsi degli scambi con i porti del Levante, nello specifico gli scali abruzzesi accrescono i loro collegamenti con il Regio Litorale Austriaco, in particolare con le città di Trieste, Fiume ed in generale con la costa dalmata. Minori ma comunque presenti i collegamenti con la costa tirrenica fino all'arco meridionale della Francia. In definitiva la monografia offre uno spaccato del tutto inedito dell'economia della fascia costiera dell'Abruzzo, dove si evidenzia una realtà piuttosto vivace e variegata lontana da quella visione letteraria di “chiusura” della regione abruzzese, tramandata per secoli. Gli abitanti della costa, potendo usufruire dalla risorsa marittima, riuscivano a rompere in qualche modo l'isolamento nel quale versava l'entroterra montano, proiettandosi così verso realtà del tutto differenti; purtroppo però non si riscontra alcun collegamento tra la costa e la montagna e, soprattutto, nessuna politica volta ad migliorare le infrastrutture portuali e, di conseguenza, il commercio marittimo, cosicché, appena dopo l'Unità, l'avvento della linea ferrata andrà ad infliggere un duro colpo alle attività di trasporto marittimo, relegando i porti abruzzesi a semplici luoghi di piccolo cabotaggio.

Portualita' e navigazione in Abruzzo nella prima meta' del XIX secolo

NARDONE, Paola
2008-01-01

Abstract

Abstrac P. Nardone, Portualità e navigazione in Abruzzo nella prima metà del XIX secolo, Bari, ed. Cacucci, 2008. Il tema della navigazione e della portualità in età moderna e contemporanea ha da sempre destato l'interesse della storiografia economica che ha prodotto, al riguardo, una pregevole bibliografia. Lo studio della letteratura esistente unito a quello di una cospicua documentazione archivistica hanno permesso la realizzazione del volume in esame, nel quale l'autrice si sofferma ad analizzare diversi aspetti dell'economia marittima adriatica in una delle province di frontiera del Regno delle Due Sicilie. Il periodo storico di riferimento è quello dell'Ottocento preunitario, un'epoca ricca di fermenti e cambiamenti economico-sociali che produssero notevoli effetti anche nel settore marittimo. Il lavoro si apre con uno spaccato dedicato alla "gente di mare", ossia a tutti coloro che a diverso titolo lavoravano nei porti abruzzesi, al proposito vengono indicate due categorie professionali, quelle che operavano all'interno dei siti portuali e quelle addette alla navigazione. Nel primo caso vengono accertate e ricostruite mansioni e competenze del capitano del porto, del sindaco marittimo e comunale, delle guardie doganali e dei deputati di salute, ma anche delineato il quadro normativo relativo alle procedure sanitarie che regolavano il commercio marittimo e la documentazione necessaria per la navigazione. Nel secondo caso si individuano diverse figure giuridiche, come quelle dei singoli proprietari e delle società marittime e, per entrambe, viene indicata la corrispondente "flotta" locale; ampio spazio è dedicato ai cosiddetti "padroni" ossia coloro che comandavano sui natanti, ma, soprattutto ci si sofferma sui marinai e sui passeggeri. Al proposito vengono descritte le procedure di arruolamento dei marinai e calcolate le presenze degli equipaggi sia nazionali che esteri nei porti abruzzesi, infine viene osservato il movimento delle persone che per motivi di lavoro, privati o turistici usufruivano del trasporto marittimo e transitavano negli scali in esame. Nella seconda parte del volume l'autrice ricostruisce lo stato di fatto delle infrastrutture portuali abruzzesi, i progetti e le opere realizzate, evidenziando il rapporto economico che legava i siti con le principali cittadine marittime e l'immediato entroterra collinare e montano. Il fulcro del lavoro è però rappresentato dal movimento di tutte le imbarcazioni che per qualunque motivo approdarono negli scali della regione. A tal fine vengono censiti i singoli velieri, indicandone la tipologia, il tonnellaggio, la nazionalità, la provenienza, la destinazione, il carico ed i giorni di navigazione. Ne emerge uno spaccato interessante dell'Abruzzo marittimo, inserito a pieno titolo nel circuito interno ed internazionale, nel quale ogni sito portuale sembra avere proprie peculiarità. In particolare l'approdo pescarese risulta senza dubbio quello caratterizzato da una maggiore vivacità, vi si registra infatti il maggiore movimento di uomini, merci e imbarcazioni, anche se queste ultime risultano essere generalmente di modeste dimensioni e dedite in più che altro al piccolo cabotaggio. Di minore entità i transiti nei porti di Ortona e Vasto, caratterizzati però da bastimenti con maggiore tonnellaggio. Le differenze rilevate esaminando il traffico marittimo nei porti abruzzesi da una parte rispecchiavano le condizioni strutturali nelle quali versavano i diversi siti, dall'altra erano anche la conseguenza del differente ruolo che ciascuno aveva nel commercio marittimo. Se infatti il porto fluviale pescarese con i suoi bassi fondali mal si prestava al ricovero del naviglio più grande, che rimaneva ormeggiato nel tratto di mare antistante la città, era pur vero che la movimentazione delle merci risultava notevolmente facilitata dal fatto che le banchine erano prossime al centro urbano; questo infatti sorgeva nelle immediate vicinanze del fiume, era sede di una importante fortezza militare, e vantava le "migliori" infrastrutture viarie di tutto l'Abruzzo costiero. La tipologia di commercio marittimo era di conseguenza più variegata, molti i prodotti in arrivo, per lo più manufatti, generi coloniali, medicinali, variegata anche la gamma delle merci in partenza anche se prevalentemente di natura alimentare. Di altra portata il traffico marittimo che interessava i porti di Ortona e Vasto; siamo in questo caso di fronte a siti naturali ricavati in golfi ed insenature con a ridosso una costa rocciosa e, di conseguenza, dotati di fondali scogliosi e di maggiore profondità. La morfologia del litorale che sembrava avvantaggiare tali scali offrendo loro la possibilità di ricoverare un naviglio di elevato tonnellaggio li penalizzava nei collegamenti viari con i rispettivi centri urbani. Va infatti rilevato che questi ultimi erano entrambi ubicati in zona collinare, a notevole distanza dalle strutture portuali con le quali erano mal collegati, ed inoltre vista la montuosità della costa erano carenti di infrastrutture viarie di supporto che li collegassero agevolmente con l'entroterra e con le principali direttrici terrestri. Tali porti possono a ragione essere indicati come veri e propri "caricatoi", entrambi infatti si caratterizzavano per la loro "funzione" di sbocco dei prodotti agricoli dell'entroterra, in particolare frumento, olio e vino. E' infatti particolarmente evidente il cosiddetto fenomeno delle navi "vacanti", ossia di imbarcazioni che partite dai maggiori porti del Regno approdavano senza alcun carico negli scali in esame, in definitiva vi si recavano appositamente per prelevare prodotti agricoli locali. Per tutti i porti abruzzesi è il circuito commerciale interno del Regno a destare il maggiore interesse economico, numerosissimi gli scambi con la costa pugliese, rilevanti anche quelli con l'area del napoletano. Dando uno sguardo al circuito internazionale nel corso del XIX secolo si nota anche su questo versante una certa vivacità (tranne nel caso del porto di Vasto, dedito solo al commercio interno). In particolare se è vero che si assiste ad una lenta ma inesorabile riduzione del movimento commerciale con il porto di Ancona (che del resto proprio in tale secolo sembra assumere un ruolo secondario nel commercio marittimo adriatico), si nota un intensificarsi degli scambi con i porti del Levante, nello specifico gli scali abruzzesi accrescono i loro collegamenti con il Regio Litorale Austriaco, in particolare con le città di Trieste, Fiume ed in generale con la costa dalmata. Minori ma comunque presenti i collegamenti con la costa tirrenica fino all'arco meridionale della Francia. In definitiva la monografia offre uno spaccato del tutto inedito dell'economia della fascia costiera dell'Abruzzo, dove si evidenzia una realtà piuttosto vivace e variegata lontana da quella visione letteraria di “chiusura” della regione abruzzese, tramandata per secoli. Gli abitanti della costa, potendo usufruire dalla risorsa marittima, riuscivano a rompere in qualche modo l'isolamento nel quale versava l'entroterra montano, proiettandosi così verso realtà del tutto differenti; purtroppo però non si riscontra alcun collegamento tra la costa e la montagna e, soprattutto, nessuna politica volta ad migliorare le infrastrutture portuali e, di conseguenza, il commercio marittimo, cosicché, appena dopo l'Unità, l'avvento della linea ferrata andrà ad infliggere un duro colpo alle attività di trasporto marittimo, relegando i porti abruzzesi a semplici luoghi di piccolo cabotaggio.
2008
9788884227768
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11564/103555
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