Uno dei tratti più caratteristici del deismo inglese fu senz’altro la sua profonda ispirazione morale. Herbert di Cherbury e, dopo di lui, William Wollaston, John Toland e Matthew Tindal furono tutti concordi nell’identificare nella virtù il vero significato dell’insegnamento religioso; il messaggio evangelico fu da essi interpretato come il più perfetto insieme di precetti morali, un contenuto del tutto accessibile alla ragione umana. Anthony Collins, uno dei desti più radicali, insisteva sulla responsabilità delle istituzioni ecclesiastiche nell’offuscare questo contenuto: la diffusa immoralità del clero era definita da Collins come una forma di ateismo pratico, assai peggiore dell’ ateismo speculativo. Toland criticava i cerimoniali religiosi, che riteneva del tutto estranei alla fede cristiana; l’insegnamento morale racchiuso nei Vangeli e il culto esteriore non erano affatto compatibili, per Toland. Alla profonda tensione morale propria del deismo fa eco, a partire dal 1690, un fenomeno di ben più vaste dimensioni, la Riforma morale dei costumi. Si tratta stavolta di un movimento di ispirazione religiosa supportato dal clero - non solo quello anglicano, ma anche il non conformista. Diversamente dal deismo, che si caratterizza essenzialmente come fenomeno intellettuale, la Reformation of Manners riscuote ampi consensi, soprattutto nei ceti medio e basso ma anche tra i governanti: grazie al loro supporto, l’azione concreta del movimento di riforma si diffonde rapidamente sul suolo inglese. Il beneplacito dei nuovi regnanti, Guglielmo III d’Orange e Maria, supporta gli sforzi delle società impegnate nella crociata morale; l’anima del movimento è, d’altra parte, molto antica, quel puritanesimo che aveva trionfato negli anni del commonwealth e che la monarchia Stuart era riuscita a cancellare solo in parte.

Un fenomeno concomitante al deismo inglese. Il movimento per la Riforma morale dei costumi

Giuliana Di Biase
2019-01-01

Abstract

Uno dei tratti più caratteristici del deismo inglese fu senz’altro la sua profonda ispirazione morale. Herbert di Cherbury e, dopo di lui, William Wollaston, John Toland e Matthew Tindal furono tutti concordi nell’identificare nella virtù il vero significato dell’insegnamento religioso; il messaggio evangelico fu da essi interpretato come il più perfetto insieme di precetti morali, un contenuto del tutto accessibile alla ragione umana. Anthony Collins, uno dei desti più radicali, insisteva sulla responsabilità delle istituzioni ecclesiastiche nell’offuscare questo contenuto: la diffusa immoralità del clero era definita da Collins come una forma di ateismo pratico, assai peggiore dell’ ateismo speculativo. Toland criticava i cerimoniali religiosi, che riteneva del tutto estranei alla fede cristiana; l’insegnamento morale racchiuso nei Vangeli e il culto esteriore non erano affatto compatibili, per Toland. Alla profonda tensione morale propria del deismo fa eco, a partire dal 1690, un fenomeno di ben più vaste dimensioni, la Riforma morale dei costumi. Si tratta stavolta di un movimento di ispirazione religiosa supportato dal clero - non solo quello anglicano, ma anche il non conformista. Diversamente dal deismo, che si caratterizza essenzialmente come fenomeno intellettuale, la Reformation of Manners riscuote ampi consensi, soprattutto nei ceti medio e basso ma anche tra i governanti: grazie al loro supporto, l’azione concreta del movimento di riforma si diffonde rapidamente sul suolo inglese. Il beneplacito dei nuovi regnanti, Guglielmo III d’Orange e Maria, supporta gli sforzi delle società impegnate nella crociata morale; l’anima del movimento è, d’altra parte, molto antica, quel puritanesimo che aveva trionfato negli anni del commonwealth e che la monarchia Stuart era riuscita a cancellare solo in parte.
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