La travagliata e difficile situazione politica che la Libia sta attraversando dal 2011 ad oggi ha ovviamente avuto forti ripercussioni sulla gestione del patrimonio culturale del paese, ma ha determinato risvolti quanto mai inaspettati, soprattutto sul fronte di una consapevolezza sempre più crescente negli operatori del settore in loco sul valore culturale di tale patrimonio, su quanto esso sia variegato e su quanto necessiti di un approccio mirato e differenziato per la sua salvaguardia. In una fase di pace e di stabilità un così ricco e vario patrimonio fungerebbe da elemento rivitalizzante di una identità etnica condivisa, come già si era intravisto nell’euforia creatasi tra la fine del 2011 ed il 2013, quando si cercava nei siti archeologici e nei beni culturali un forte motivo di resilienza e di rinascita, con la consapevolezza di un patrimonio molto differenziato da est a ovest, da nord a sud, dal mare al retroterra desertico, perché diversi sono i ‘patrimoni’ da valorizzare, come diverse sono le entità tribali che formano il tessuto sociale della Libia. Gli eventi traumatici hanno certo favorito la nascita di una coscienza di un patrimonio fatto non solo di monumenti e siti, che siano libyi, berberi, greci, fenici, romani, islamici o bizantini, ma anche di archivi e palazzi storici, di medine e di tradizioni popolari, di poesia orale e di contesti ambientali. Ma quanto tale consapevolezza sia condivisa dalla società, dalla gente comune è difficile a dirsi, soprattutto in un tale momento di grande instabilità. Parallelamente i rischi per il patrimonio sono cresciuti negli ultimi anni, soprattutto per problematiche legate sia all’espansione urbanistica assolutamente non pianificata e poco sostenibile, sia ad atti di vandalismo e scavi clandestini. Certo una Libia fatta di così tanti volti diversi non può e non deve essere identificata con uno solo dei tanti aspetti culturali che la caratterizzano, ed è solo riconoscendo pari dignità alle differenziate vicende storiche, alle molteplici attestazioni archeologiche e monumentali, ai diversi usi e costumi delle tante tribù di questo immenso paese, che si può arrivare a valorizzarne in pieno il patrimonio. Quanto oggi chiedono i colleghi delle soprintendenze e delle università locali è di aiutarli a far capire ai loro giovani e alla loro gente il messaggio che un così ricco territorio comunica. D’altronde nelle vicende belliche del 2011 sono state, insieme al DoA, anche la popolazione locale, le famiglie, le baladie (entità municipali), le kabile (le tribù) a difendere a mani nude il proprio patrimonio archeologico e monumentale, organizzando turni permanenti di guardiania a siti e a musei, murando o sigillando porte e finestre dei magazzini. Sono stati numerosissimi gli encomi e i riconoscimenti internazionali a soprintendenti, archeologi e tecnici che hanno piantonato per mesi i siti sotto la loro giurisdizione e le università locali si sono fatte promotrici di una task force di monitoraggio del territorio che riferiva direttamente al NTC attraverso reports ufficiali . Ben note sono le vicende, durante la guerra, delle città di Leptis Magna, Sabratha, Tolemaide e Cirene, per le quali i media mondiali avevano paventato il rischio che fossero utilizzate dai mercenari come ‘roccaforti non bombardabili’. Ciò, fortunatamente, non è avvenuto proprio perché la popolazione civile si è accampata dentro i siti aiutando le soprintendenze a difenderli, non solo al fine di salvare il patrimonio monumentale in sé, ma soprattutto a tutela di simboli tangibili della propria identità culturale e territoriale, nonché possibile risorsa della piccola economia locale che stava nascendo con il flusso turistico che timidamente stava crescendo in Libia. E’ proprio questo forte senso di appartenenza al territorio che va risvegliato e nutrito: una sfida che studiosi e tecnici locali spesso chiedono di condividere con istituzioni e missioni straniere.

Editoriale

Menozzi O.
2020-01-01

Abstract

La travagliata e difficile situazione politica che la Libia sta attraversando dal 2011 ad oggi ha ovviamente avuto forti ripercussioni sulla gestione del patrimonio culturale del paese, ma ha determinato risvolti quanto mai inaspettati, soprattutto sul fronte di una consapevolezza sempre più crescente negli operatori del settore in loco sul valore culturale di tale patrimonio, su quanto esso sia variegato e su quanto necessiti di un approccio mirato e differenziato per la sua salvaguardia. In una fase di pace e di stabilità un così ricco e vario patrimonio fungerebbe da elemento rivitalizzante di una identità etnica condivisa, come già si era intravisto nell’euforia creatasi tra la fine del 2011 ed il 2013, quando si cercava nei siti archeologici e nei beni culturali un forte motivo di resilienza e di rinascita, con la consapevolezza di un patrimonio molto differenziato da est a ovest, da nord a sud, dal mare al retroterra desertico, perché diversi sono i ‘patrimoni’ da valorizzare, come diverse sono le entità tribali che formano il tessuto sociale della Libia. Gli eventi traumatici hanno certo favorito la nascita di una coscienza di un patrimonio fatto non solo di monumenti e siti, che siano libyi, berberi, greci, fenici, romani, islamici o bizantini, ma anche di archivi e palazzi storici, di medine e di tradizioni popolari, di poesia orale e di contesti ambientali. Ma quanto tale consapevolezza sia condivisa dalla società, dalla gente comune è difficile a dirsi, soprattutto in un tale momento di grande instabilità. Parallelamente i rischi per il patrimonio sono cresciuti negli ultimi anni, soprattutto per problematiche legate sia all’espansione urbanistica assolutamente non pianificata e poco sostenibile, sia ad atti di vandalismo e scavi clandestini. Certo una Libia fatta di così tanti volti diversi non può e non deve essere identificata con uno solo dei tanti aspetti culturali che la caratterizzano, ed è solo riconoscendo pari dignità alle differenziate vicende storiche, alle molteplici attestazioni archeologiche e monumentali, ai diversi usi e costumi delle tante tribù di questo immenso paese, che si può arrivare a valorizzarne in pieno il patrimonio. Quanto oggi chiedono i colleghi delle soprintendenze e delle università locali è di aiutarli a far capire ai loro giovani e alla loro gente il messaggio che un così ricco territorio comunica. D’altronde nelle vicende belliche del 2011 sono state, insieme al DoA, anche la popolazione locale, le famiglie, le baladie (entità municipali), le kabile (le tribù) a difendere a mani nude il proprio patrimonio archeologico e monumentale, organizzando turni permanenti di guardiania a siti e a musei, murando o sigillando porte e finestre dei magazzini. Sono stati numerosissimi gli encomi e i riconoscimenti internazionali a soprintendenti, archeologi e tecnici che hanno piantonato per mesi i siti sotto la loro giurisdizione e le università locali si sono fatte promotrici di una task force di monitoraggio del territorio che riferiva direttamente al NTC attraverso reports ufficiali . Ben note sono le vicende, durante la guerra, delle città di Leptis Magna, Sabratha, Tolemaide e Cirene, per le quali i media mondiali avevano paventato il rischio che fossero utilizzate dai mercenari come ‘roccaforti non bombardabili’. Ciò, fortunatamente, non è avvenuto proprio perché la popolazione civile si è accampata dentro i siti aiutando le soprintendenze a difenderli, non solo al fine di salvare il patrimonio monumentale in sé, ma soprattutto a tutela di simboli tangibili della propria identità culturale e territoriale, nonché possibile risorsa della piccola economia locale che stava nascendo con il flusso turistico che timidamente stava crescendo in Libia. E’ proprio questo forte senso di appartenenza al territorio che va risvegliato e nutrito: una sfida che studiosi e tecnici locali spesso chiedono di condividere con istituzioni e missioni straniere.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11564/714095
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