Le teorie evoluzionistiche racchiuse nel darwinismo, lungi dall’assurgere a visione generale del mondo, rappresentano esse stesse un dogma. Essendo paradossalmente vero che non vi è scienza che non costruisca le sue teorie, partendo da idee metafisiche e filosofiche, va da sé l’impossibilità di razionalizzare appieno il contenuto degli assiomi cristiani. Scientismo è allora riduzionismo. Il recupero del fondamentalismo biblico scaturisce dalla semplice verità che non vi è alcun modo di dimostrare scientificamente che Dio non esiste. Che nell’uomo e nell’armonia dell’universo sia presente una componente che esula dalla realtà biologica e fisica è incontrovertibile. È proprio a un’estetica della trascendenza che approda l’esplorazione di Doris Lessing in cui confluisce anche la dottrina dell’umanità eliotiana, in cui il bene è possibile grazie al dono della solidarietà tra i simili, della comunione che trascende le piccole meschinità individuali per produrre, a un più alto livello, l’armonia e una voce in grado di dialogare con il divino. Il tessuto simbolico del macrotesto lessinghiano va penetrato cogliendone le cifre arcane, la potenza metalinguistica, le strutture teologiche. In un paesaggio postbellico monocromatico, desertificato e ipertecnologico, l’esistenza appare come una pseudo realtà improntata a una logica della finzione. Se in questo contesto la collocazione dell’uomo risulta incerta, ne consegue che il reale deve essere cercato in un territorio che psichicamente riconduca a un immaginario anteriore al crepuscolo degli dèi. In tale topologia dominata da una sorta di fascinazione per la saggezza di antichi miti e riti, o, più in generale, nell’anelito dei personaggi al caos antitetico all’ordine di un luogo finzionale fatto di tacite tolleranze e di raggelante indifferenza, da cui non giunge alcun messaggio salvifico, ma soltanto segnali disforici, affiora la lancinante nostalgia di Dio, il pronunciamento del cui nome viene affermato attraverso la sua negazione. Tali dichiarazioni relative al programma estetico-morale lessinghiano ne connotano il livello metaforico, oltre che l’esplicita componente allegorica, in cui è presente un elemento epico. L’ascesa del “boulder-pusher” verso la vetta della montagna è metafora dello slancio empatico dell’intellettuale nei confronti dei suoi simili, del suo impegno ad affrontare il forzoso cammino di passaggio dal peccato alla redenzione, dalla morte-in-vita alla salvezza. Ed è chiaro che in questa transizione assiologica dal male al bene svolge una funzione fondamentale proprio quella «simpatia» che per George Eliot è il perno e l’essenza della sua religione dell’umanità. Nel saggio The Natural History of German Life (1856), Eliot scrive che il più grande beneficio che dobbiamo all’artista, sia esso pittore, poeta o romanziere, è l’ampliamento delle nostre simpatie. E ancora subito dopo: l’arte è la cosa più vicina alla vita; è un modo per ampliare la nostra esperienza e per allargare i contatti con i nostri simili al di là dei confini dei nostri destini personali.
La narrativa di Doris Lessing: strategie e metafore per un impegno
SETTE, Miriam
2007-01-01
Abstract
Le teorie evoluzionistiche racchiuse nel darwinismo, lungi dall’assurgere a visione generale del mondo, rappresentano esse stesse un dogma. Essendo paradossalmente vero che non vi è scienza che non costruisca le sue teorie, partendo da idee metafisiche e filosofiche, va da sé l’impossibilità di razionalizzare appieno il contenuto degli assiomi cristiani. Scientismo è allora riduzionismo. Il recupero del fondamentalismo biblico scaturisce dalla semplice verità che non vi è alcun modo di dimostrare scientificamente che Dio non esiste. Che nell’uomo e nell’armonia dell’universo sia presente una componente che esula dalla realtà biologica e fisica è incontrovertibile. È proprio a un’estetica della trascendenza che approda l’esplorazione di Doris Lessing in cui confluisce anche la dottrina dell’umanità eliotiana, in cui il bene è possibile grazie al dono della solidarietà tra i simili, della comunione che trascende le piccole meschinità individuali per produrre, a un più alto livello, l’armonia e una voce in grado di dialogare con il divino. Il tessuto simbolico del macrotesto lessinghiano va penetrato cogliendone le cifre arcane, la potenza metalinguistica, le strutture teologiche. In un paesaggio postbellico monocromatico, desertificato e ipertecnologico, l’esistenza appare come una pseudo realtà improntata a una logica della finzione. Se in questo contesto la collocazione dell’uomo risulta incerta, ne consegue che il reale deve essere cercato in un territorio che psichicamente riconduca a un immaginario anteriore al crepuscolo degli dèi. In tale topologia dominata da una sorta di fascinazione per la saggezza di antichi miti e riti, o, più in generale, nell’anelito dei personaggi al caos antitetico all’ordine di un luogo finzionale fatto di tacite tolleranze e di raggelante indifferenza, da cui non giunge alcun messaggio salvifico, ma soltanto segnali disforici, affiora la lancinante nostalgia di Dio, il pronunciamento del cui nome viene affermato attraverso la sua negazione. Tali dichiarazioni relative al programma estetico-morale lessinghiano ne connotano il livello metaforico, oltre che l’esplicita componente allegorica, in cui è presente un elemento epico. L’ascesa del “boulder-pusher” verso la vetta della montagna è metafora dello slancio empatico dell’intellettuale nei confronti dei suoi simili, del suo impegno ad affrontare il forzoso cammino di passaggio dal peccato alla redenzione, dalla morte-in-vita alla salvezza. Ed è chiaro che in questa transizione assiologica dal male al bene svolge una funzione fondamentale proprio quella «simpatia» che per George Eliot è il perno e l’essenza della sua religione dell’umanità. Nel saggio The Natural History of German Life (1856), Eliot scrive che il più grande beneficio che dobbiamo all’artista, sia esso pittore, poeta o romanziere, è l’ampliamento delle nostre simpatie. E ancora subito dopo: l’arte è la cosa più vicina alla vita; è un modo per ampliare la nostra esperienza e per allargare i contatti con i nostri simili al di là dei confini dei nostri destini personali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.