Questo volume prende in esame la cultura inglese dell’Ottocento tenendo conto della complessità e delle contraddizioni della società vittoriana. Ossessionati dall’idea di vivere in una fase di transizione, pensatori come Thomas Carlyle, J. S. Mill, John Ruskin e Matthew Arnold furono gli interpreti più autorevoli di un periodo che segna la fine di tutte le certezze e l’inizio di quello che Thomas Hardy chiama «il vizio moderno dell’irrequietezza». Nella persistenza di una visione del mondo ancora improntata al mito romantico, scrittori e poeti vittoriani scrissero opere in cui le irrisolte dicotomie – passato e futuro, campagna e metropoli, restaurazione e progresso – divennero la scena di una crisi profonda che interessò non solo la società ma anche, ad un altro livello, le modalità di rappresentazione artistica. Di qui gli interrogativi e i dilemmi di molti intellettuali che, in modo spesso drammatico, si posero il problema dell’identità nazionale. Di qui anche i programmi e le proposte che, puntando a un superamento del mondo industriale e della sua organizzazione economica, delinearono modelli socio-economici alternativi. Rimane il ritratto di un secolo culturalmente irrequieto, pronto a combattere per difendere il suo orizzonte assiologico ma, al tempo stesso, incapace di credere fino in fondo in se stesso, nei suoi miti e nei suoi mondi.
Miti e mondi vittoriani. La cultura inglese dell’Ottocento
MARRONI, Francesco
2004-01-01
Abstract
Questo volume prende in esame la cultura inglese dell’Ottocento tenendo conto della complessità e delle contraddizioni della società vittoriana. Ossessionati dall’idea di vivere in una fase di transizione, pensatori come Thomas Carlyle, J. S. Mill, John Ruskin e Matthew Arnold furono gli interpreti più autorevoli di un periodo che segna la fine di tutte le certezze e l’inizio di quello che Thomas Hardy chiama «il vizio moderno dell’irrequietezza». Nella persistenza di una visione del mondo ancora improntata al mito romantico, scrittori e poeti vittoriani scrissero opere in cui le irrisolte dicotomie – passato e futuro, campagna e metropoli, restaurazione e progresso – divennero la scena di una crisi profonda che interessò non solo la società ma anche, ad un altro livello, le modalità di rappresentazione artistica. Di qui gli interrogativi e i dilemmi di molti intellettuali che, in modo spesso drammatico, si posero il problema dell’identità nazionale. Di qui anche i programmi e le proposte che, puntando a un superamento del mondo industriale e della sua organizzazione economica, delinearono modelli socio-economici alternativi. Rimane il ritratto di un secolo culturalmente irrequieto, pronto a combattere per difendere il suo orizzonte assiologico ma, al tempo stesso, incapace di credere fino in fondo in se stesso, nei suoi miti e nei suoi mondi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.