Il saggio fa parte del volume “Plasticità” della collana “Le Forme del Cemento” a cura di C. Andriani e propone una rilettura critica dell’opera di Jorn Utzon, mettendone in risalto la poetica del pensiero architettonico, tra linguaggio della forma e rigore costruttivo. L’ apparente contraddizione formale che caratterizza tutta la produzione "dell'architetto della Sydney Opera House", fa di lui un personaggio libero da questioni legate al linguaggio della forma, da questioni legate alla riconoscibilità dell'autore, da questioni legate a scuole architettoniche. Le costanti nel suo lavoro si ritrovano nel senso intrinseco della ricerca, del suo continuo sperimentare, del valore della costruzione come condizione fondamentale della cultura architettonica; a questo proposito sposa infatti il pensiero antiaccademico del suo maestro Jensen Klint, dove lo studente di architettura deve essere formato più per costruire che per progettare. La traccia coerente del suo percorso di architetto è proprio nel significato "applicativo" dell'architettura che lascia emergere una "profonda sensibilità per un paesaggio plasmato dalla topografia, dal cli-ma, dal materiale e dal mestiere e, di conseguenza, per un'architettura gene-rata in larga misura dalle forze naturali"2. E sono proprio questi punti che lega-no la Sydney Opera House alla casa del "buen retiro" di Maiorca. In entrambe le architetture, il progetto supera ogni velleità di riconoscibilità linguistica legata all'autore, nasce dalle forti differenze del luogo in cui si inserisce e risponde a "ciò che l'edificio vuole essere" (Louis Khan) nel rispetto del senso "istituzionale" dell'architettura: il primo è un'icona, il simbolo di una nazione, un "monumento',' il secondo è quello che l'architetto desidera per sè, un rifugio dove ritirarsi, con tutte le caratteristiche della contro-icona
Per un'architettura senza nome.
MISINO, Paola
2008-01-01
Abstract
Il saggio fa parte del volume “Plasticità” della collana “Le Forme del Cemento” a cura di C. Andriani e propone una rilettura critica dell’opera di Jorn Utzon, mettendone in risalto la poetica del pensiero architettonico, tra linguaggio della forma e rigore costruttivo. L’ apparente contraddizione formale che caratterizza tutta la produzione "dell'architetto della Sydney Opera House", fa di lui un personaggio libero da questioni legate al linguaggio della forma, da questioni legate alla riconoscibilità dell'autore, da questioni legate a scuole architettoniche. Le costanti nel suo lavoro si ritrovano nel senso intrinseco della ricerca, del suo continuo sperimentare, del valore della costruzione come condizione fondamentale della cultura architettonica; a questo proposito sposa infatti il pensiero antiaccademico del suo maestro Jensen Klint, dove lo studente di architettura deve essere formato più per costruire che per progettare. La traccia coerente del suo percorso di architetto è proprio nel significato "applicativo" dell'architettura che lascia emergere una "profonda sensibilità per un paesaggio plasmato dalla topografia, dal cli-ma, dal materiale e dal mestiere e, di conseguenza, per un'architettura gene-rata in larga misura dalle forze naturali"2. E sono proprio questi punti che lega-no la Sydney Opera House alla casa del "buen retiro" di Maiorca. In entrambe le architetture, il progetto supera ogni velleità di riconoscibilità linguistica legata all'autore, nasce dalle forti differenze del luogo in cui si inserisce e risponde a "ciò che l'edificio vuole essere" (Louis Khan) nel rispetto del senso "istituzionale" dell'architettura: il primo è un'icona, il simbolo di una nazione, un "monumento',' il secondo è quello che l'architetto desidera per sè, un rifugio dove ritirarsi, con tutte le caratteristiche della contro-iconaFile | Dimensione | Formato | |
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