Il volume racconta un Abruzzo girovago. Intanto, per sintetizzare i punti qualificanti della sua ambigua epopea di terra sdoppiata che era, insieme, liberazione da arcaiche miserie e sradicamento delle culture di villaggio. Poi, per ricordare che i rapporti fra società e culture diverse disegnano, sempre e comunque, un intricato spazio labirintico, che va avvicinato con onestà intellettuale ed etica contro ogni ortodossia, ogni parola d’ordine, ogni certezza perentoria e ultimativa. Da ultimo, per sollecitare a non dimenticare l’importanza dei lasciti della storia, a meno che non si voglia dar spazio al nomadismo culturale e alle appartenenze corte che producono autoreferenzialità, informazione corticale, strappi alla familiarità della propria cultura. Il volume presenta un "recto" ed un "verso", un lato esplicito e una dimensione solo suggerita. Il primo ripercorre la vicenda, lunga e sgarbata, dei migranti dall’Abruzzo e delle loro partenze senza agi, senza iniziazione, senza apprendistati. Dati, cifre, quadri economici, contesti politici, composizioni di classi, modelli interpretativi, profili sociali introducono, così, alla lettura di fughe caotiche dalla miseria, ma anche alla voglia di sperimentare “il nuovo” di ambienti più ricchi ed evoluti; fanno da sfondo alla realtà di prigioni localistiche e di ristrutturazioni culturali; accompagnano nel perimetro di relazioni mute fra padri impastoiati nella memoria del proprio paese e figli distratti ai richiami della piccola patria; nei purgatori prolungati di uomini sfruttatori di se stessi e di donne in attesa, votate a fedeltà da suore di clausura; nello spazio ricostruttivo di memorie collettive e nel totale straniamento di abitudini comunitarie. Il risultato è un quadro dell’emigrazione oscillante fra linee marcate e contorni sfumati, che si muove fra permanenze e innovazioni, traffici culturali e logiche sacrali. Il "verso" di queste pagine vuole, invece, richiamare alla memoria che la sedentarietà costituisce un’eccezione a fronte del movimento e delle sue turbolenze e, in questo processo, è coinvolto -comunque e in ogni caso- anche chi sposa il valore della permanenza e si affida alle regole della stabilità e della continuità. Il mito di Caino ed Abele, per rifarci ad un esempio emblematico quanto noto, testimonia che l’impegno a difendere la propria identità non ripara dal rischio dell’alterità. Caino che coltiva la terra e, per tutelare il proprio territorio, uccide Abele, pastore di greggi, a sua volta viene costretto ad errare. La storia dell’umanità può essere letta, precisamente, come estrinsecazione di questa parabola. Una parabola che allerta sul rischio di anchilosi identitarie e di chiusure etnocentriche, se la paura di perdersi si traduce nell’irrobustimento di spazialità esclusive e nell’incoraggiamento di mappe di territori propri che pensano di sopravvivere solo auto-alimentandosi.
Abruzzo regione del mondo. Letture interdisciplinari dell’emigrazione abruzzese tra Ottocento e Novecento.
SPEDICATO, Eide
;Giancristofaro L.
;
2010-01-01
Abstract
Il volume racconta un Abruzzo girovago. Intanto, per sintetizzare i punti qualificanti della sua ambigua epopea di terra sdoppiata che era, insieme, liberazione da arcaiche miserie e sradicamento delle culture di villaggio. Poi, per ricordare che i rapporti fra società e culture diverse disegnano, sempre e comunque, un intricato spazio labirintico, che va avvicinato con onestà intellettuale ed etica contro ogni ortodossia, ogni parola d’ordine, ogni certezza perentoria e ultimativa. Da ultimo, per sollecitare a non dimenticare l’importanza dei lasciti della storia, a meno che non si voglia dar spazio al nomadismo culturale e alle appartenenze corte che producono autoreferenzialità, informazione corticale, strappi alla familiarità della propria cultura. Il volume presenta un "recto" ed un "verso", un lato esplicito e una dimensione solo suggerita. Il primo ripercorre la vicenda, lunga e sgarbata, dei migranti dall’Abruzzo e delle loro partenze senza agi, senza iniziazione, senza apprendistati. Dati, cifre, quadri economici, contesti politici, composizioni di classi, modelli interpretativi, profili sociali introducono, così, alla lettura di fughe caotiche dalla miseria, ma anche alla voglia di sperimentare “il nuovo” di ambienti più ricchi ed evoluti; fanno da sfondo alla realtà di prigioni localistiche e di ristrutturazioni culturali; accompagnano nel perimetro di relazioni mute fra padri impastoiati nella memoria del proprio paese e figli distratti ai richiami della piccola patria; nei purgatori prolungati di uomini sfruttatori di se stessi e di donne in attesa, votate a fedeltà da suore di clausura; nello spazio ricostruttivo di memorie collettive e nel totale straniamento di abitudini comunitarie. Il risultato è un quadro dell’emigrazione oscillante fra linee marcate e contorni sfumati, che si muove fra permanenze e innovazioni, traffici culturali e logiche sacrali. Il "verso" di queste pagine vuole, invece, richiamare alla memoria che la sedentarietà costituisce un’eccezione a fronte del movimento e delle sue turbolenze e, in questo processo, è coinvolto -comunque e in ogni caso- anche chi sposa il valore della permanenza e si affida alle regole della stabilità e della continuità. Il mito di Caino ed Abele, per rifarci ad un esempio emblematico quanto noto, testimonia che l’impegno a difendere la propria identità non ripara dal rischio dell’alterità. Caino che coltiva la terra e, per tutelare il proprio territorio, uccide Abele, pastore di greggi, a sua volta viene costretto ad errare. La storia dell’umanità può essere letta, precisamente, come estrinsecazione di questa parabola. Una parabola che allerta sul rischio di anchilosi identitarie e di chiusure etnocentriche, se la paura di perdersi si traduce nell’irrobustimento di spazialità esclusive e nell’incoraggiamento di mappe di territori propri che pensano di sopravvivere solo auto-alimentandosi.File | Dimensione | Formato | |
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