La grave crisi strutturale che colpì l’economia dell’Italia alla fine del primo conflitto mondiale, fu ulteriormente aggravata dai pesanti problemi provocati dalla rapida diffusione della spagnola. All’inizio, la spagnola, individuata per la prima volta negli USA nel marzo 1918, fu sottovalutata e considerata come «una strana forma di malattia a carattere epidemico». Anche la Direzione Generale della Sanità Pubblica del nostro Paese considerò la malattia una comune influenza di stagione. Ben presto le posizioni ufficiali furono smentite dalla rapida diffusione dell’epidemia a partire dall’estate 1918. Sebbene il governo mantenesse un atteggiamento prudente, i casi sempre più numerosi di spagnola furono segnalati nelle rilevazioni periodiche effettuate dall’autorità sanitaria. La ricostruzione dei costi del piano assistenziale varato dal Governo in collaborazione con gli enti locali, rappresenta una passaggio ineludibile dell’analisi dei risvolti economici dell’epidemia. Le dimensioni del fenomeno erano tali da costringere lo Stato a dover sopportare un notevole sforzo finanziario, in una fase peraltro molto critica dell’economia nazionale caratterizzata da un complesso e difficile processo di riconversione postbellica dei grandi e medi complessi industriali che avevano prosperato durante la guerra, conseguendo cospicui profitti dalle commesse statali, da una pesante disoccupazione del settore primario e secondario, aggravata dal ritorno di migliaia di soldati dal fronte, dall’aumento dei prezzi e, infine, dal blocco del potere d’acquisto dei salari. Lo studio degli effetti della spagnola sul sistema industriale dell’Italia centrale nei primi anni postbellici utilizza ed elabora le rilevazioni ufficiali effettuate dal Comitato Regionale per l’Italia Centrale. Dal controllo degli stabilimenti industriali di competenza dell’ente furono monitorati i casi di contagio da “spagnola” tra la popolazione operaia. La diffusione della spagnola accentuò lo stato di precarietà della struttura occupazionale dell’industria postbellica. Alla luce delle osservazioni già evidenziate, la possibilità di sostituire le maestranze colpite dall’epidemia con nuove assunzioni non era un processo automatico, così che alle imprese si prospettavano due soluzioni: assunzione di nuove unità, sopportando i costi professionali del loro inserimento graduale nei nuovi processi produttivi, oppure attendere la ripresa del lavoro da parte degli operai ammalati. Gli effetti della spagnola si fecero sentire anche sull’agricoltura, aggravando la pesante crisi che interessò il settore all’indomani della fine del primo conflitto mondiale. Il governo intervenne con la concessione di crediti agevolati agli agricoltori in difficoltà, premi e sovvenzioni finalizzati all’acquisto di mezzi, attrezzi da lavoro, materie prime e fertilizzanti. La spagnola rappresentò un importante banco di prova per testare il livello di reazione della struttura economica dell’Italia. Tale capacità fu richiesta al Paese durante la pesante crisi postbellica, per cui sin dall’inizio fu evidente che le strutture pubbliche non sarebbero state in grado di finanziare un efficace programma di profilassi e di cura: era possibile realizzare solo un programma molto ridotto di interventi. L’analisi degli effetti economici della spagnola ha evidenziato lo sviluppo di complessi meccanismi occupazionali tra imprese e forza lavoro, stimolando ulteriori filoni di indagine in tale direzione. Infine, si sono individuate interessanti relazioni dell’epidemia con l’agricoltura. In particolare, le diverse tipologie della cooperazione agricola elaborarono programmi di interventi e reti di solidarietà che da un lato rafforzarono il loro ruolo a livello nazionale, dall’altro contribuirono a lenire gli effetti dell’epidemia.

Il «flagellum Dei»: l’impatto della spagnola sull’economia postbellica

RIDOLFI, Natascia
2013-01-01

Abstract

La grave crisi strutturale che colpì l’economia dell’Italia alla fine del primo conflitto mondiale, fu ulteriormente aggravata dai pesanti problemi provocati dalla rapida diffusione della spagnola. All’inizio, la spagnola, individuata per la prima volta negli USA nel marzo 1918, fu sottovalutata e considerata come «una strana forma di malattia a carattere epidemico». Anche la Direzione Generale della Sanità Pubblica del nostro Paese considerò la malattia una comune influenza di stagione. Ben presto le posizioni ufficiali furono smentite dalla rapida diffusione dell’epidemia a partire dall’estate 1918. Sebbene il governo mantenesse un atteggiamento prudente, i casi sempre più numerosi di spagnola furono segnalati nelle rilevazioni periodiche effettuate dall’autorità sanitaria. La ricostruzione dei costi del piano assistenziale varato dal Governo in collaborazione con gli enti locali, rappresenta una passaggio ineludibile dell’analisi dei risvolti economici dell’epidemia. Le dimensioni del fenomeno erano tali da costringere lo Stato a dover sopportare un notevole sforzo finanziario, in una fase peraltro molto critica dell’economia nazionale caratterizzata da un complesso e difficile processo di riconversione postbellica dei grandi e medi complessi industriali che avevano prosperato durante la guerra, conseguendo cospicui profitti dalle commesse statali, da una pesante disoccupazione del settore primario e secondario, aggravata dal ritorno di migliaia di soldati dal fronte, dall’aumento dei prezzi e, infine, dal blocco del potere d’acquisto dei salari. Lo studio degli effetti della spagnola sul sistema industriale dell’Italia centrale nei primi anni postbellici utilizza ed elabora le rilevazioni ufficiali effettuate dal Comitato Regionale per l’Italia Centrale. Dal controllo degli stabilimenti industriali di competenza dell’ente furono monitorati i casi di contagio da “spagnola” tra la popolazione operaia. La diffusione della spagnola accentuò lo stato di precarietà della struttura occupazionale dell’industria postbellica. Alla luce delle osservazioni già evidenziate, la possibilità di sostituire le maestranze colpite dall’epidemia con nuove assunzioni non era un processo automatico, così che alle imprese si prospettavano due soluzioni: assunzione di nuove unità, sopportando i costi professionali del loro inserimento graduale nei nuovi processi produttivi, oppure attendere la ripresa del lavoro da parte degli operai ammalati. Gli effetti della spagnola si fecero sentire anche sull’agricoltura, aggravando la pesante crisi che interessò il settore all’indomani della fine del primo conflitto mondiale. Il governo intervenne con la concessione di crediti agevolati agli agricoltori in difficoltà, premi e sovvenzioni finalizzati all’acquisto di mezzi, attrezzi da lavoro, materie prime e fertilizzanti. La spagnola rappresentò un importante banco di prova per testare il livello di reazione della struttura economica dell’Italia. Tale capacità fu richiesta al Paese durante la pesante crisi postbellica, per cui sin dall’inizio fu evidente che le strutture pubbliche non sarebbero state in grado di finanziare un efficace programma di profilassi e di cura: era possibile realizzare solo un programma molto ridotto di interventi. L’analisi degli effetti economici della spagnola ha evidenziato lo sviluppo di complessi meccanismi occupazionali tra imprese e forza lavoro, stimolando ulteriori filoni di indagine in tale direzione. Infine, si sono individuate interessanti relazioni dell’epidemia con l’agricoltura. In particolare, le diverse tipologie della cooperazione agricola elaborarono programmi di interventi e reti di solidarietà che da un lato rafforzarono il loro ruolo a livello nazionale, dall’altro contribuirono a lenire gli effetti dell’epidemia.
2013
9788815247025
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Descrizione: Epidemia spagnola in Italia
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11564/271130
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