All’interno delle continue mutazioni urbane – dovute ai cambiamenti che la società contemporanea ci chiede
di reinterpretare anche in chiave anticrisi – si riconosce nelle aree industriali una delle occasioni di rilancio, di riorganizzazione e di rigenerazione per la crescita delle città e la costruzione di un benessere durevole collettivo. Nella logica della ridefinizione degli assetti produttivi – modificazione della struttura esistente, miniaturizzazione dei processi di produzione, modificazione delle logiche di allocazione territoriale e delle riconfigurazioni spaziali, esternalizzazioni di carattere produttivo, abbattimento dei consumi e quindi della domanda di beni
e servizi, scarsità delle risorse, aumento dei prezzi delle materie prime
– le enclaves industriali, nel tempo subìte dalle città e dai suoi abitanti, possono divenire enzimi strategici per i processi di rigenerazione di parti di città. Le “piccole e grandi metropoli” debbono accettare sempre più la sfida di riconfigurare i distretti industriali dismessi come land stocks per l’interesse collettivo e la definizione di interventi di sviluppo e saturazione urbana, concepiti e compensati in un pensiero unitario del territorio. La qualità dei paesaggi urbani non è dettata dalla radicale scelta di non costruire; l’urgenza di adeguare il “patrimonio” alle necessità imposte da nuove norme – soprattutto da nuove consapevolezze sui temi dell’ecologia urbana, del risparmio e della produzione decentrata di energia – implica l’introduzione di un diverso quadro esigenziale e di obiettivi inediti. Una strategia che ponga come obiettivo primario la riqualificazione del costruito nasce dalla percezione sempre più diffusa del fatto che le risorse ambientali sono “scarse (territorio, acqua ed energia)”. La città ha bisogno del suo territorio anche come “supporto ecologico” da cui prelevare risorse e in cui collocare dispositivi per i cicli di trattamento dei residui del funzionamento urbano. A partire da questo le land stocks sono intese come vere e proprie “riserve di territorio” in grado di costituire “deposito urbano” da ri-convertire in stretta relazione con i caratteri identitari dei contesti, definendo metodi e strategie attraverso la costruzione di azioni e misure capaci di perseguire una sostenibilità urbana, sociale ed energetica nelle differenti parti di città. Gli edifici industriali, concepiti in funzione di un uso temporaneo e di specifiche tecnologie, hanno una durata conforme alla funzionalità dell’impiego e una obsolescenza assai maggiore dell’edilizia tradizionale. Di qui la necessità, oltre che dello studio, del censimento e della conservazione di quello che è ormai considerato parte del patrimonio culturale di un paese, anche del riuso e della riconversione, a fini culturali, sociali, amministrativi, di edifici o ambienti, sedi storiche di processi produttivi. Il confronto sul tema apre a posizioni plurime e differenti; l’adeguamento dell’esistente, la ricerca di riscrivere modalità e pratiche di riappropriazione di porzioni di città – in particolar modo dei luoghi dell’ex produzione – ha bisogno di un possibile aggiornamento normativo, della costruzione di un percorso di condivisione e accettazione politico-sociale, della produzione di posizioni e ragionamenti spaziali che mettano in campo strategie differenti sul patrimonio industriale e sul paesaggio urbano, capaci di esprimere un loro possibile ri-uso.

ReStart. Dai luoghi dell'ex produzione alla città. (con intervista a Bernard Tschumi)

ULISSE, ALBERTO
;
VERAZZO, CLARA
2014-01-01

Abstract

All’interno delle continue mutazioni urbane – dovute ai cambiamenti che la società contemporanea ci chiede
di reinterpretare anche in chiave anticrisi – si riconosce nelle aree industriali una delle occasioni di rilancio, di riorganizzazione e di rigenerazione per la crescita delle città e la costruzione di un benessere durevole collettivo. Nella logica della ridefinizione degli assetti produttivi – modificazione della struttura esistente, miniaturizzazione dei processi di produzione, modificazione delle logiche di allocazione territoriale e delle riconfigurazioni spaziali, esternalizzazioni di carattere produttivo, abbattimento dei consumi e quindi della domanda di beni
e servizi, scarsità delle risorse, aumento dei prezzi delle materie prime
– le enclaves industriali, nel tempo subìte dalle città e dai suoi abitanti, possono divenire enzimi strategici per i processi di rigenerazione di parti di città. Le “piccole e grandi metropoli” debbono accettare sempre più la sfida di riconfigurare i distretti industriali dismessi come land stocks per l’interesse collettivo e la definizione di interventi di sviluppo e saturazione urbana, concepiti e compensati in un pensiero unitario del territorio. La qualità dei paesaggi urbani non è dettata dalla radicale scelta di non costruire; l’urgenza di adeguare il “patrimonio” alle necessità imposte da nuove norme – soprattutto da nuove consapevolezze sui temi dell’ecologia urbana, del risparmio e della produzione decentrata di energia – implica l’introduzione di un diverso quadro esigenziale e di obiettivi inediti. Una strategia che ponga come obiettivo primario la riqualificazione del costruito nasce dalla percezione sempre più diffusa del fatto che le risorse ambientali sono “scarse (territorio, acqua ed energia)”. La città ha bisogno del suo territorio anche come “supporto ecologico” da cui prelevare risorse e in cui collocare dispositivi per i cicli di trattamento dei residui del funzionamento urbano. A partire da questo le land stocks sono intese come vere e proprie “riserve di territorio” in grado di costituire “deposito urbano” da ri-convertire in stretta relazione con i caratteri identitari dei contesti, definendo metodi e strategie attraverso la costruzione di azioni e misure capaci di perseguire una sostenibilità urbana, sociale ed energetica nelle differenti parti di città. Gli edifici industriali, concepiti in funzione di un uso temporaneo e di specifiche tecnologie, hanno una durata conforme alla funzionalità dell’impiego e una obsolescenza assai maggiore dell’edilizia tradizionale. Di qui la necessità, oltre che dello studio, del censimento e della conservazione di quello che è ormai considerato parte del patrimonio culturale di un paese, anche del riuso e della riconversione, a fini culturali, sociali, amministrativi, di edifici o ambienti, sedi storiche di processi produttivi. Il confronto sul tema apre a posizioni plurime e differenti; l’adeguamento dell’esistente, la ricerca di riscrivere modalità e pratiche di riappropriazione di porzioni di città – in particolar modo dei luoghi dell’ex produzione – ha bisogno di un possibile aggiornamento normativo, della costruzione di un percorso di condivisione e accettazione politico-sociale, della produzione di posizioni e ragionamenti spaziali che mettano in campo strategie differenti sul patrimonio industriale e sul paesaggio urbano, capaci di esprimere un loro possibile ri-uso.
2014
Mosaico
9788867640393
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