«L’uso della parola» è stato colpito da «una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza» (Italo Calvino, 1988). Per Giancarlo De Carlo (1988) e Bernardo Secchi (1989), architettura e urbanistica avevano lo stesso problema. Da allora la distanza fra le parole e le cose è aumentata al punto che è possibile chiedersi: in che modo la “peste del linguaggio” influisce negativamente sulle discipline territoriali? Da dove ripartire? Come fare a ridurre lo iato fra termini e realtà? Domande che hanno senso nella prospettiva in cui la parola venga considerata il presupposto dell’azione; l’uso di termini immediatamente codificabili sia ritenuto presupposto indispensabile per identificare, descrivere e interpretare i fenomeni urbani e territoriali. La situazione non è nuova. Questo l’incipit della Teoria Generale dell’Urbanizzazione (Ildefonso Cerdà, 1867): «inizierò il lettore allo studio di una materia completamente nuova, intatta, vergine. Poiché tutto era nuovo, ho dovuto cercare e inventare parole nuove per esprimere idee nuove, la cui spiegazione non si trovava in alcun lessico». Probabilmente, la situazione attuale richiede uno sforzo analogo. Per una pluralità di motivi. Tre i principali: «il deteriorarsi della parola» (Johann Wolfgang Goethe), il «ritirarsi della parola» (George Steiner) e la «perdita di responsabilità della parola» (Erri De Luca). Riflettere sul lessico dell’urbanistica è importante non solo per contrastare la marginalizzazione della disciplina ma anche per riconquistare un ruolo prioritario nel dibattito pubblico sulle questioni urbane e territoriali.

Urbanistica senza termini

CLEMENTE, Antonio Alberto
2017-01-01

Abstract

«L’uso della parola» è stato colpito da «una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza» (Italo Calvino, 1988). Per Giancarlo De Carlo (1988) e Bernardo Secchi (1989), architettura e urbanistica avevano lo stesso problema. Da allora la distanza fra le parole e le cose è aumentata al punto che è possibile chiedersi: in che modo la “peste del linguaggio” influisce negativamente sulle discipline territoriali? Da dove ripartire? Come fare a ridurre lo iato fra termini e realtà? Domande che hanno senso nella prospettiva in cui la parola venga considerata il presupposto dell’azione; l’uso di termini immediatamente codificabili sia ritenuto presupposto indispensabile per identificare, descrivere e interpretare i fenomeni urbani e territoriali. La situazione non è nuova. Questo l’incipit della Teoria Generale dell’Urbanizzazione (Ildefonso Cerdà, 1867): «inizierò il lettore allo studio di una materia completamente nuova, intatta, vergine. Poiché tutto era nuovo, ho dovuto cercare e inventare parole nuove per esprimere idee nuove, la cui spiegazione non si trovava in alcun lessico». Probabilmente, la situazione attuale richiede uno sforzo analogo. Per una pluralità di motivi. Tre i principali: «il deteriorarsi della parola» (Johann Wolfgang Goethe), il «ritirarsi della parola» (George Steiner) e la «perdita di responsabilità della parola» (Erri De Luca). Riflettere sul lessico dell’urbanistica è importante non solo per contrastare la marginalizzazione della disciplina ma anche per riconquistare un ruolo prioritario nel dibattito pubblico sulle questioni urbane e territoriali.
2017
9788899237080
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