Il problema del male non ha perso oggigiorno la sua virulenza e la sua centralità. In genere però esso non viene più affrontato nel senso della teodicea classica, bensì in relazione al conflitto tra natura e cultura. La malvagità dell’uomo può infatti essere senz’altro considerata, in virtù della sua particolare crudeltà, efferatezza, ferocia e gratuità, una delle caratteristiche che maggiormente lo differenziano dagli altri animali, che uccidono solo per difendersi o per alimentarsi. Ma da dove proviene tale malvagità? Dai suoi istinti animali, dalle sue pulsioni naturali (Hobbes)? Oppure dall’influsso della società, dallo sviluppo della cultura, dal predominio della ragione (Rousseau)? Ma se l’uomo è malvagio, aggressivo, distruttivo per natura, il bene è dunque solo il prodotto della cultura umana (Huxley)? O non è forse vero il contrario, e cioè che il bene ha le sue radici ultime proprio nei nostri istinti naturali, mentre il vero male è solo un prodotto della civilizzazione (Kropotkin)? L’autentica moralità si manifesta solo nel superamento di propensioni naturali che sono dentro di noi? Oppure ciò che definiamo moralità, pur essendo propria solo dell’uomo in quanto essere libero e responsabile, asseconda soltanto alcune nostre inclinazioni naturali (Darwin)? È possibile che l’uomo sia costruito per natura in modo così sbagliato da dover continuamente combattere (per agire in modo buono e giusto) contro le sue stesse inclinazioni (Herder)? Oppure è la malvagità a essere in contrasto e in conflitto con la natura dell’uomo, che per sua essenza è buona (come affermano da sempre i teologi)? È proprio vero che, se venisse meno lo strato di civiltà che copre e tiene a freno i nostri istinti, saremmo tutti delle bestie egoiste, brutali e senza scrupoli e che in tal caso la nostra unica legge sarebbe la biologia invece della cultura? Non dobbiamo invece «tornare alla natura» (Lorenz) per ridare una «misura» alla nostra aggressività? Ma è proprio vero che l’uomo dispone per natura di una base morale che è stata solo stravolta da un eccesso di razionalità e di smania di affermazione sociale, ovvero deformata da una civilizzazione che ha degenerato la natura dell’uomo? Oppure quanto vi è di naturalmente istintivo in noi rappresenta la sostanza del male, per cui il cercare di discostarsene definitivamente, avendo per obiettivo un’autentica umanità, costituisce il nostro fondamentale impegno morale? Il male non è forse qualcosa di «ordinario» nella natura? Ma poi: è veramente possibile misurare la natura con metri morali? Non è vero invece che la natura non è né buona, né malvagia, ma moralmente indifferente? Il saggio si sofferma su questi nodi problematici.
L’uomo e la sua costitutiva malvagità
GARAVENTA, Roberto
2017-01-01
Abstract
Il problema del male non ha perso oggigiorno la sua virulenza e la sua centralità. In genere però esso non viene più affrontato nel senso della teodicea classica, bensì in relazione al conflitto tra natura e cultura. La malvagità dell’uomo può infatti essere senz’altro considerata, in virtù della sua particolare crudeltà, efferatezza, ferocia e gratuità, una delle caratteristiche che maggiormente lo differenziano dagli altri animali, che uccidono solo per difendersi o per alimentarsi. Ma da dove proviene tale malvagità? Dai suoi istinti animali, dalle sue pulsioni naturali (Hobbes)? Oppure dall’influsso della società, dallo sviluppo della cultura, dal predominio della ragione (Rousseau)? Ma se l’uomo è malvagio, aggressivo, distruttivo per natura, il bene è dunque solo il prodotto della cultura umana (Huxley)? O non è forse vero il contrario, e cioè che il bene ha le sue radici ultime proprio nei nostri istinti naturali, mentre il vero male è solo un prodotto della civilizzazione (Kropotkin)? L’autentica moralità si manifesta solo nel superamento di propensioni naturali che sono dentro di noi? Oppure ciò che definiamo moralità, pur essendo propria solo dell’uomo in quanto essere libero e responsabile, asseconda soltanto alcune nostre inclinazioni naturali (Darwin)? È possibile che l’uomo sia costruito per natura in modo così sbagliato da dover continuamente combattere (per agire in modo buono e giusto) contro le sue stesse inclinazioni (Herder)? Oppure è la malvagità a essere in contrasto e in conflitto con la natura dell’uomo, che per sua essenza è buona (come affermano da sempre i teologi)? È proprio vero che, se venisse meno lo strato di civiltà che copre e tiene a freno i nostri istinti, saremmo tutti delle bestie egoiste, brutali e senza scrupoli e che in tal caso la nostra unica legge sarebbe la biologia invece della cultura? Non dobbiamo invece «tornare alla natura» (Lorenz) per ridare una «misura» alla nostra aggressività? Ma è proprio vero che l’uomo dispone per natura di una base morale che è stata solo stravolta da un eccesso di razionalità e di smania di affermazione sociale, ovvero deformata da una civilizzazione che ha degenerato la natura dell’uomo? Oppure quanto vi è di naturalmente istintivo in noi rappresenta la sostanza del male, per cui il cercare di discostarsene definitivamente, avendo per obiettivo un’autentica umanità, costituisce il nostro fondamentale impegno morale? Il male non è forse qualcosa di «ordinario» nella natura? Ma poi: è veramente possibile misurare la natura con metri morali? Non è vero invece che la natura non è né buona, né malvagia, ma moralmente indifferente? Il saggio si sofferma su questi nodi problematici.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.