Questioni legate alla soggettività (negata) del traduttore e al mito dell’obiettività nelle scienze umane e negli studi sulla traduzione vengono prese in considerazione in questo volume. In particolare, viene messo in discussione il mito della obiettività assurto a paradigma delle scienze umane. Per fare luce sul pensiero che ha influenzato in qualche modo una ben precisa idea di ciò che sia la traduzione e di chi sia il traduttore, è presentato un bilancio condotto sul profilo storico delineando come dallo scientismo positivista, passando attraverso il trascendentalismo kantiano, si sia giunti all’ermeneutica gadameriana, per sintetizzare, in seguito, il contributo di Ricoeur e approdando, infine, alla teoria della decostruzione di Derrida. Un tale percorso di riflessione conduce a prospettive di analisi che de-costruiscono il senso comune di teorie che considerano la traduzione come neutra e il traduttore come obiettivo. La pretesa di un traduttore imparziale e neutro appare del tutto infondata, se si considera che il traduttore utilizza un «materiale», la lingua, che non è affatto un materiale, ma parte integrante di una soggettività che lo costituisce nella sua specifica singolarità. La lingua, insomma, attraversa il traduttore implicandolo profondamente nella realizzazione dell’oggetto, che è giusto la traduzione la quale, ove risulti pensata in questi termini, di fatto finisce col certificarsi non già come mero oggetto, ma come specifica espressione della sua soggettività. L’analisi di testi letterari i cui protagonisti sono traduttori/interpreti e di questionari somministrati a traduttori e teorici della traduzione brasiliani completa lo studio sul mito costruito attorno a questo professionista del testo, il traduttore – che ancora risulta pesantemente condizionato da idee vetero-positiviste.

Il traduttore. Mito e (de)costruzione di una identità

Katia de Abreu Chulata
2016-01-01

Abstract

Questioni legate alla soggettività (negata) del traduttore e al mito dell’obiettività nelle scienze umane e negli studi sulla traduzione vengono prese in considerazione in questo volume. In particolare, viene messo in discussione il mito della obiettività assurto a paradigma delle scienze umane. Per fare luce sul pensiero che ha influenzato in qualche modo una ben precisa idea di ciò che sia la traduzione e di chi sia il traduttore, è presentato un bilancio condotto sul profilo storico delineando come dallo scientismo positivista, passando attraverso il trascendentalismo kantiano, si sia giunti all’ermeneutica gadameriana, per sintetizzare, in seguito, il contributo di Ricoeur e approdando, infine, alla teoria della decostruzione di Derrida. Un tale percorso di riflessione conduce a prospettive di analisi che de-costruiscono il senso comune di teorie che considerano la traduzione come neutra e il traduttore come obiettivo. La pretesa di un traduttore imparziale e neutro appare del tutto infondata, se si considera che il traduttore utilizza un «materiale», la lingua, che non è affatto un materiale, ma parte integrante di una soggettività che lo costituisce nella sua specifica singolarità. La lingua, insomma, attraversa il traduttore implicandolo profondamente nella realizzazione dell’oggetto, che è giusto la traduzione la quale, ove risulti pensata in questi termini, di fatto finisce col certificarsi non già come mero oggetto, ma come specifica espressione della sua soggettività. L’analisi di testi letterari i cui protagonisti sono traduttori/interpreti e di questionari somministrati a traduttori e teorici della traduzione brasiliani completa lo studio sul mito costruito attorno a questo professionista del testo, il traduttore – che ancora risulta pesantemente condizionato da idee vetero-positiviste.
2016
Il Segno e le Lettere
978-88-7916-788-8
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