Il presente contributo intende testimoniare la realtà multidimensionale della «Grande Guerra», capace di estendersi pervicacemente a tutti i settori della vita pubblica e privata italiana di quegli anni, all’interno di una società provinciale distante geograficamente dal fronte bellico, quale quella cittadina di Bitonto, grosso centro urbano sito in provincia di Bari. Una storia di individui, dunque, non solo di istituzioni, inglobati giocoforza entro i meccanismi di una mobilitazione civile che, nei fatti, si dimostrò non meno brutale di quella prettamente militare (Staderini, Zani, Magni, 1998). La categoria di «guerra totale», in principio riferita al secondo conflitto mondiale, era già stata applicata in passato per la «Grande Guerra», in virtù del numero quasi illimitato di risorse, materiali e morali, messe in campo dagli stati belligeranti. (Gibelli, 2008). Nonostante fosse stata evidenziata, dunque, l’esistenza di un conflitto capace di coinvolgere l’intera nazione nel suo drammatico svolgimento, restava tuttavia ancora in vigore una «netta frattura psicologica tra i soldati e il resto della popolazione» (Gibelli, 2007). Ricerche più recenti (Becker, 1998; Horne, Kramer, 2001) hanno invece posto in luce come le pratiche di violenze effettuate dalle truppe tedesche nei confronti della popolazione residente nelle zone di occupazione francese e belga, così come quelle subite dagli «obliati» del conflitto (profughi, prigionieri di guerra, etc.) rivestano un ruolo maggiore di quanto era stato in passato considerato, mettendo così in crisi il paradigma di una violenza patita solo dai militari al fronte. Sotto questo punta di vista la «Grande Guerra», si può considerare come il prototipo di «guerra totale», «perché investiva in profondità le società civili di tutti i paesi coinvolti nel conflitto» (Traverso, 2007). La giornata di studi organizzata a Venezia nel 2003 ebbe come tema non solo la violenza contro i civili nella Grande Guerra, ma anche «l’ampliamento della sfera di influenza dello stato nella vita sociale, le modalità e gli esiti della repressione, la specificità del vissuto femminile, il tema della memoria individuale e collettiva» (Bianchi, 2006). Ed è proprio partendo da queste premesse metodologiche che la ricerca intende muoversi nell’indagine delle fonti conservate presso il fondo Post-unitario dell’Archivio Storico del Comune di Bitonto: esse spaziano dai provvedimenti presi dalle Amministrazioni comunale e provinciale a favore delle truppe, delle vedove e degli orfani di guerra sino alle certificazioni d’inserimento degli operai bitontini nelle fabbriche settentrionali impiegate nella produzione di materiale bellico, testimonianza del contributo offerto dai cittadini allo sforzo della Nazione in guerra. Sui processi di reclutamento della manodopera e di militarizzazione della società un contributo recente è stato apportato dalla ricerca di Matteo Ermacora. Questi, nel saggio Cantieri di guerra. Il lavoro dei civili nelle retrovie del fronte italiano 1915-1918, indaga sui «cantieri di guerra», zone di lavoro al fronte, ove furono impiegate 650.000 unità, (uomini, donne e ragazzi), nella costruzione di opere logistiche. Come ha dimostrato Gibelli (2009) «il complesso delle relazioni industriali fu sottratto alla libera contrattazione e sottoposto a una regolazione dall’alto». Lo Stato italiano, vero e proprio «imprenditore della guerra», (Bachi, 1918) aveva finanziato le spese di guerra, sia attraverso l’aumento della circolazione di moneta, sia incrementando il debito pubblico: le risorse economiche così raccolte furono destinate dallo Stato nel sistema produttivo per venire incontro alla crescita impetuosa della domanda bellica e per consentire all’Italia, Paese privo di una tradizione militare pari a quella dei suoi alleati e nemici, di essere competitivo riguardo al potenziale militare espresso. Al termine della guerra, infatti, «lo sviluppo complessivo della produzione industriale si presenta assai esteso, gli stabilimenti si fanno numerosi e in molti casi si ampliano, le maestranze si moltiplicano, crescono i macchinari, aumenta di molto la massa di materia complessivamente assoggettata a elaborazione e la quantità dei prodotti». (Porsini, 1975). La ricerca, condotta su fonti archivistiche inedite, non si limiterà all’acquisizione di dati relativi agli anni del conflitto, ma proseguirà oltre, indagando sulle trasformazioni culturali e sociali della realtà locale del dopoguerra, interrogandosi sul ruolo e sull’impatto che ebbe la «Grande Guerra» nella «brutalizzazione della vita politica post-bellica» (Mosse, 1990). La ricerca permetterà così di ricostruire uno spaccato della partecipazione locale e dell’impatto della Prima Guerra Mondiale sul territorio e sulla realtà socio-economica della città di Bitonto e dei territori limitrofi.

Primo conflitto mondiale e Mezzogiorno: una comunità pugliese di fronte alla “guerra totale”

Domenico Francesco Antonio Elia
2017-01-01

Abstract

Il presente contributo intende testimoniare la realtà multidimensionale della «Grande Guerra», capace di estendersi pervicacemente a tutti i settori della vita pubblica e privata italiana di quegli anni, all’interno di una società provinciale distante geograficamente dal fronte bellico, quale quella cittadina di Bitonto, grosso centro urbano sito in provincia di Bari. Una storia di individui, dunque, non solo di istituzioni, inglobati giocoforza entro i meccanismi di una mobilitazione civile che, nei fatti, si dimostrò non meno brutale di quella prettamente militare (Staderini, Zani, Magni, 1998). La categoria di «guerra totale», in principio riferita al secondo conflitto mondiale, era già stata applicata in passato per la «Grande Guerra», in virtù del numero quasi illimitato di risorse, materiali e morali, messe in campo dagli stati belligeranti. (Gibelli, 2008). Nonostante fosse stata evidenziata, dunque, l’esistenza di un conflitto capace di coinvolgere l’intera nazione nel suo drammatico svolgimento, restava tuttavia ancora in vigore una «netta frattura psicologica tra i soldati e il resto della popolazione» (Gibelli, 2007). Ricerche più recenti (Becker, 1998; Horne, Kramer, 2001) hanno invece posto in luce come le pratiche di violenze effettuate dalle truppe tedesche nei confronti della popolazione residente nelle zone di occupazione francese e belga, così come quelle subite dagli «obliati» del conflitto (profughi, prigionieri di guerra, etc.) rivestano un ruolo maggiore di quanto era stato in passato considerato, mettendo così in crisi il paradigma di una violenza patita solo dai militari al fronte. Sotto questo punta di vista la «Grande Guerra», si può considerare come il prototipo di «guerra totale», «perché investiva in profondità le società civili di tutti i paesi coinvolti nel conflitto» (Traverso, 2007). La giornata di studi organizzata a Venezia nel 2003 ebbe come tema non solo la violenza contro i civili nella Grande Guerra, ma anche «l’ampliamento della sfera di influenza dello stato nella vita sociale, le modalità e gli esiti della repressione, la specificità del vissuto femminile, il tema della memoria individuale e collettiva» (Bianchi, 2006). Ed è proprio partendo da queste premesse metodologiche che la ricerca intende muoversi nell’indagine delle fonti conservate presso il fondo Post-unitario dell’Archivio Storico del Comune di Bitonto: esse spaziano dai provvedimenti presi dalle Amministrazioni comunale e provinciale a favore delle truppe, delle vedove e degli orfani di guerra sino alle certificazioni d’inserimento degli operai bitontini nelle fabbriche settentrionali impiegate nella produzione di materiale bellico, testimonianza del contributo offerto dai cittadini allo sforzo della Nazione in guerra. Sui processi di reclutamento della manodopera e di militarizzazione della società un contributo recente è stato apportato dalla ricerca di Matteo Ermacora. Questi, nel saggio Cantieri di guerra. Il lavoro dei civili nelle retrovie del fronte italiano 1915-1918, indaga sui «cantieri di guerra», zone di lavoro al fronte, ove furono impiegate 650.000 unità, (uomini, donne e ragazzi), nella costruzione di opere logistiche. Come ha dimostrato Gibelli (2009) «il complesso delle relazioni industriali fu sottratto alla libera contrattazione e sottoposto a una regolazione dall’alto». Lo Stato italiano, vero e proprio «imprenditore della guerra», (Bachi, 1918) aveva finanziato le spese di guerra, sia attraverso l’aumento della circolazione di moneta, sia incrementando il debito pubblico: le risorse economiche così raccolte furono destinate dallo Stato nel sistema produttivo per venire incontro alla crescita impetuosa della domanda bellica e per consentire all’Italia, Paese privo di una tradizione militare pari a quella dei suoi alleati e nemici, di essere competitivo riguardo al potenziale militare espresso. Al termine della guerra, infatti, «lo sviluppo complessivo della produzione industriale si presenta assai esteso, gli stabilimenti si fanno numerosi e in molti casi si ampliano, le maestranze si moltiplicano, crescono i macchinari, aumenta di molto la massa di materia complessivamente assoggettata a elaborazione e la quantità dei prodotti». (Porsini, 1975). La ricerca, condotta su fonti archivistiche inedite, non si limiterà all’acquisizione di dati relativi agli anni del conflitto, ma proseguirà oltre, indagando sulle trasformazioni culturali e sociali della realtà locale del dopoguerra, interrogandosi sul ruolo e sull’impatto che ebbe la «Grande Guerra» nella «brutalizzazione della vita politica post-bellica» (Mosse, 1990). La ricerca permetterà così di ricostruire uno spaccato della partecipazione locale e dell’impatto della Prima Guerra Mondiale sul territorio e sulla realtà socio-economica della città di Bitonto e dei territori limitrofi.
2017
9788871453644
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Descrizione: Elia, Progressus, 2017
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