Il volume si propone di ricostruire le varie fasi del pensiero sociologico di Parsons (1902-'79) sulla scorta della letteratura primaria e secondaria ed a partire dalla sua formazione calvinista liberale e precocemente cosmopolita tra Stati Uniti, Inghilterra e Germania, per giungere quindi ai saggi ed alle grandi opere della maturità (in primis, The Structure of Social Action del 1937 e The Social System del 1951) e concludere con il neoevoluzionismo, la cibernetica e le istanze comunitarie e religiose che, pur essendo in lui costanti, emergono prepotentemente negli ultimi anni della sua esistenza, riservando comunque almeno uno spazio minimo a tutti i temi via via trattati, anche a quelli di solito ritenuti minori o dallo scarso impatto generale. La tesi di fondo che l'autore sostiene e che ritiene confermata dalle analisi puntuali di cui si è detto è contenuta nel titolo del libro, "il giro più lungo", che è una felice espressione dell'antropologo C.Kluckhohn, amico e collega di Parsons alla Harvard University, che intende rendere la necessità intellettuale di evadere apparentemente dagli schemi concettuali consueti nella cultura di riferimento per poi tornarvi con un'accresciuta consapevolezza del loro autentico ruolo orientativo, il che nel caso specifico si applica al rapporto tra le correnti europee ed americane della sociologia classica a cui allude appunto il sottotitolo e che da sempre è una vexatissima quaestio della critica parsonsiana, in-sieme alla possibilità o meno di conciliare indagine teorica, raffronti empirici e spessore storico ed agli interrogativi sulla continuità fra il paradigma dell'azione delineato nel primo opus magnum e quello sistemico caratteristico del secondo. Invece, un aspetto relativamente nuovo è la riscoperta della dimensione politica riformista dell'impegno accademico di Parsons, evidente per i suoi contemporanei, ma spesso piuttosto sottaciuta o sminuita nel fervore delle polemiche ideologiche. Infine, quantunque sia palese la difficoltà di compiere una sintesi efficace di tutti questi elementi teoretici, si è tentato di far luce sugli influssi ricevuti da studiosi a lui contemporanei anche attingendo direttamente dalle fonti, soprattutto nel caso quantomai controverso di P.A.Sorokin (1889-1968), un eminente sociologo statunitense di origine russa, oppure del filosofo esistenzialista tedesco K.Jaspers (1883-1969) e, benché sia meno eclatante e rimandi ad una generazione precedente, dell'antropologo B.Malinowski (1884-1942), insegnante di Parsons alla London School of Economics. Nel complesso, quello che affiora è altresì un ambizioso di-segno di un canone delle scienze sociali che risente certamente delle scelte personali del suo fautore (il solido background biologico ed economi-co degli esordi, mai sconfessato del resto all'indomani della "conversione" sociologica), che, al netto di qualsivoglia imperialismo disciplinare or-mai inammissibile, continua ad offrire se non altro un importante avallo teorico agli sforzi per ricondurre ad unità le ricerche sull'uomo (se si vuo-le, si può cogliere qui un peculiare tratto hegeliano o comtiano di Parsons, che d'altronde non è di certo l'unico).

Il giro più lungo. Talcott Parsons tra sociologia europea ed americana

Stefano Ricciuti
2019-01-01

Abstract

Il volume si propone di ricostruire le varie fasi del pensiero sociologico di Parsons (1902-'79) sulla scorta della letteratura primaria e secondaria ed a partire dalla sua formazione calvinista liberale e precocemente cosmopolita tra Stati Uniti, Inghilterra e Germania, per giungere quindi ai saggi ed alle grandi opere della maturità (in primis, The Structure of Social Action del 1937 e The Social System del 1951) e concludere con il neoevoluzionismo, la cibernetica e le istanze comunitarie e religiose che, pur essendo in lui costanti, emergono prepotentemente negli ultimi anni della sua esistenza, riservando comunque almeno uno spazio minimo a tutti i temi via via trattati, anche a quelli di solito ritenuti minori o dallo scarso impatto generale. La tesi di fondo che l'autore sostiene e che ritiene confermata dalle analisi puntuali di cui si è detto è contenuta nel titolo del libro, "il giro più lungo", che è una felice espressione dell'antropologo C.Kluckhohn, amico e collega di Parsons alla Harvard University, che intende rendere la necessità intellettuale di evadere apparentemente dagli schemi concettuali consueti nella cultura di riferimento per poi tornarvi con un'accresciuta consapevolezza del loro autentico ruolo orientativo, il che nel caso specifico si applica al rapporto tra le correnti europee ed americane della sociologia classica a cui allude appunto il sottotitolo e che da sempre è una vexatissima quaestio della critica parsonsiana, in-sieme alla possibilità o meno di conciliare indagine teorica, raffronti empirici e spessore storico ed agli interrogativi sulla continuità fra il paradigma dell'azione delineato nel primo opus magnum e quello sistemico caratteristico del secondo. Invece, un aspetto relativamente nuovo è la riscoperta della dimensione politica riformista dell'impegno accademico di Parsons, evidente per i suoi contemporanei, ma spesso piuttosto sottaciuta o sminuita nel fervore delle polemiche ideologiche. Infine, quantunque sia palese la difficoltà di compiere una sintesi efficace di tutti questi elementi teoretici, si è tentato di far luce sugli influssi ricevuti da studiosi a lui contemporanei anche attingendo direttamente dalle fonti, soprattutto nel caso quantomai controverso di P.A.Sorokin (1889-1968), un eminente sociologo statunitense di origine russa, oppure del filosofo esistenzialista tedesco K.Jaspers (1883-1969) e, benché sia meno eclatante e rimandi ad una generazione precedente, dell'antropologo B.Malinowski (1884-1942), insegnante di Parsons alla London School of Economics. Nel complesso, quello che affiora è altresì un ambizioso di-segno di un canone delle scienze sociali che risente certamente delle scelte personali del suo fautore (il solido background biologico ed economi-co degli esordi, mai sconfessato del resto all'indomani della "conversione" sociologica), che, al netto di qualsivoglia imperialismo disciplinare or-mai inammissibile, continua ad offrire se non altro un importante avallo teorico agli sforzi per ricondurre ad unità le ricerche sull'uomo (se si vuo-le, si può cogliere qui un peculiare tratto hegeliano o comtiano di Parsons, che d'altronde non è di certo l'unico).
2019
9788895566979
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11564/712636
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