“Stiamo perdendo la nostra cultura”, “abbiamo abbandonato i nostri costumi”, “le nostre tradizioni si stanno perdendo” sono intercalari nostalgici attraverso cui, di fronte ai cambiamenti, esprimiamo il desiderio di trasmettere riferimenti. Il presente saggio cerca di fare luce su fenomeni differenti che, nel loro insieme, delimitano il campo dell'antropologia museale di un contesto regionale, l’Abruzzo, che è focale nella storia degli studi antropologici italiani. Qui, i tanti musei delle “tradizioni popolari” costruiscono quel paesaggio trans-locale che, sull’onda dell’elaborazione teorica di Arjun Appadurai, possiamo definire «etnoscape»: un codice che viene utilizzato e interpretato in vari modi e che costruisce la “indigenitudine”, cioè la visione espressiva di quella diversità culturale che in vario modo è in grado di sfidare, o per lo meno dirigere, le agende delle istituzioni, del mercato, dei media e della vita quotidiana. In Abruzzo, oggi l’etnoscape agro-pastorale e montanaro, rappresentato omogeneamente ed in modo piuttosto “estetico” dai musei etnologici nati sull’onda di un’antropologia museale positivista e culturalista, si intreccia e in parte confligge con una nuova sensibilità sociale che guarda al passato come una risorsa di interesse globale, e non come un semplice materiale “plastico” disponibile per qualsiasi manipolazione. Queste pressioni "dal basso" rendono necessario il ripensamento di alcune iniziative museali e, soprattutto, sollecitano una maggiore presenza dei ricercatori, la cui funzione di mediazione oggi è più che mai necessaria.
Oggetti, periferie, memorie: allontanare lo sguardo per imparare a immaginare
Lia Giancristofaro
2021-01-01
Abstract
“Stiamo perdendo la nostra cultura”, “abbiamo abbandonato i nostri costumi”, “le nostre tradizioni si stanno perdendo” sono intercalari nostalgici attraverso cui, di fronte ai cambiamenti, esprimiamo il desiderio di trasmettere riferimenti. Il presente saggio cerca di fare luce su fenomeni differenti che, nel loro insieme, delimitano il campo dell'antropologia museale di un contesto regionale, l’Abruzzo, che è focale nella storia degli studi antropologici italiani. Qui, i tanti musei delle “tradizioni popolari” costruiscono quel paesaggio trans-locale che, sull’onda dell’elaborazione teorica di Arjun Appadurai, possiamo definire «etnoscape»: un codice che viene utilizzato e interpretato in vari modi e che costruisce la “indigenitudine”, cioè la visione espressiva di quella diversità culturale che in vario modo è in grado di sfidare, o per lo meno dirigere, le agende delle istituzioni, del mercato, dei media e della vita quotidiana. In Abruzzo, oggi l’etnoscape agro-pastorale e montanaro, rappresentato omogeneamente ed in modo piuttosto “estetico” dai musei etnologici nati sull’onda di un’antropologia museale positivista e culturalista, si intreccia e in parte confligge con una nuova sensibilità sociale che guarda al passato come una risorsa di interesse globale, e non come un semplice materiale “plastico” disponibile per qualsiasi manipolazione. Queste pressioni "dal basso" rendono necessario il ripensamento di alcune iniziative museali e, soprattutto, sollecitano una maggiore presenza dei ricercatori, la cui funzione di mediazione oggi è più che mai necessaria.File | Dimensione | Formato | |
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