È ormai un dato criticamente acquisito, grazie soprattutto agli studi di Agostino Paravicini Bagliani (1994; 2012; 2013; in corso di stampa), che i papi al tempo del Papato avignonese accentuarono il fondamento teocratico della loro autorità, seguendo e potenziando di fatto l’esempio di Bonifacio VIII (1294-1303). Nonostante il paradosso storico, i papi francesi intuirono infatti che questo era l’unico modo per legittimare la rottura da Roma. Il presente intervento intende stabilire se il rafforzamento teocratico si esplicitò oltre che da un punto di vista liturgico e rituale, come è stato dimostrato, anche attraverso l’autorappresentazione e se in tale prospettiva si trattò di iniziative sporadiche o di campagne promosse con sistematicità. Per quanto possa sembrare sorprendente c’è un vuoto storiografico che come ha acutamente commentato Etienne Anheim (2007) può essere stato determinato da due ordini di ragioni: «…la prima è che Ladner purtroppo non pubblicò mai il volume da lui previsto sul Papato avignonese (…). L’altra, più generale, è il risultato del divorzio tra gli specialisti di Avignone, che si occupano esclusivamente del cosiddetto Papato francese e gli specialisti del Papato romano che tendono a considerare Avignone come una semplice parentesi». Le opere che sono prese in esame nel corso dell’intervento sono effigi papali esposte alla pubblica fruizione. Realizzate sia su media pittorici che scultorei, esse furono commissionate principalmente fra Roma e Avignone quando i pontefici ritratti erano ancora viventi. Si terranno dunque a latere i monumenti funebri rispetto ai quali si deve tuttavia ricordare che, diversi dai tipi curiali romani duecenteschi (GARDNER 1992 e 2014), si configuravano come dei veri e propri macro reliquiari in pietra in cui i loro resti mortali erano assimilati a reliquie miracolose (OLARIU 2009). I dati noti non sono numerosi e per di più, ad una prima scansione, risultano molto eterogenei fra loro. Ad esempio nel caso di Clemente V (1305-1314), Giorgio Vasari (Vite, ed. giuntina) tramanda che Giotto, di ritorno da Avignone a Firenze, recò con sé un ritratto del pontefice che donò poi a Taddeo Gaddi (CASTELNUOVO 2009). Se la notizia vasariana deve essere valutata con debita cautela, è molto probabile che Clemente V sia stato rappresentato nel ciclo pittorico conservato nella torre scalare ottagonale della collegiale di Saint- Pierre la Romieu fondata a partire dal 1312 dal cardinale Arnaud d’Aux de Lescout. Anche nel caso di Giovanni XXII (1316-1334) si hanno poche informazioni sulla sua ritrattistica onoraria e le poche informazioni che ci sono devono essere valutate con attenzione. Ad esempio Ladner (1941) ipotizza che fosse rappresentato nei perduti affreschi della controfacciata di San Paolo fuori le mura raffiguranti scene della Passione di Cristo e valutabili da un punto di vista iconografico grazie ai disegni contenuti in due manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana: il Barb. Lat. 4406 (i cui acquerelli furono eseguiti fra il 1634 e il 1635 su incarico del cardinal Francesco Barberini) e il Vat. Lat. 9843 (i cui disegni databili alla fine del Settecento sono preparatori alle tavole dell’Histoire de l’Art par les Monumens di Seroux D’Agincourt, Paris 1810-1823). Non è da sottovalutare in questa prospettiva che Giovanni XXII concesse il 31 gennaio 1325 di destinare il reddito quinquennale dell’altare maggiore della basilica ostiense alla realizzazione del mosaico di facciata andato poi distrutto nell’incendio del 1823 e nel quale è pure possibile che fosse rappresentato il pontefice come risulterebbe da alcune fonti iconografiche (BOLGIA in corso di stampa). Circa Benedetto XII (1334-1342) si deve registrare, allo stato attuale delle conoscenze, un’asimmetria piuttosto disorientante fra Roma e Avignone. Se in San Pietro in Vaticano egli patrocinò un potente messaggio autocelebrativo (D’ALBERTO 2013) commissionando tramite i suoi emissari un busto marmoreo (oggi conservato alle Grotte Vaticane) che imitava l’antecedente bonifaciano e due tavole dipinte (purtroppo disperse) nelle quali la sua figura campeggiava a grandezza naturale, in nessun altro cantiere dell’Urbe né soprattutto di Avignone si è conservato o è documentato un simile programma di autorappresentazione. Il pontificato di Clemente VI (1342-1352), indagato più approfonditamente dalla critica, ha restituito una tale ricchezza di dati da lasciare ipotizzare con ampi margini di verosimiglianza che questo pontefice utilizzasse l’autorappresentazione quale strumento di espressione teocratica. Da alcuni documenti rinvenuti nei registri di spesa papali (ANHEIM 2007) si ha notizia di due statuette in cera che lo raffiguravano e che furono realizzate rispettivamente per la chiesa di Saint-Maximin di Avignone e per l’Abbazia di La Chaise-Dieu. Anche in questo caso furono reiterati prototipi bonifaciani. Si allude alle due statuette che papa Caetani commissionò per la cattedrale di Reims nel 1290 (quando era ancora cardinale) e dieci anni più tardi per quella di Amiens (PARAVICINI BAGLIANI 2009). Altri ritratti di papa Roger sono tramandati da fonti seicentesche (ANHEIM 2007). Uno si trovava nella Sainte-Chapelle di Parigi e raffigurava Giovanni il Buono re di Francia insieme a un papa che però poteva essere anche Innocenzo VI. Un altro, forse dipinto da Matteo Giovannetti nel 1344, fu visto nella cappella di San Michele presso il Palazzo dei Papi di Avignone, dove anche il ciclo di San Marziale è stato interpretato da una consolidata linea storiografica in chiave clementina. A Roma l’indizione del Giubileo del 1350 fruttò a Clemente VI una ritrattistica onoraria da parte di quanti volevano ringraziarlo della concessione anticipata che faceva, peraltro, ben sperare in un imminente rientro della curia (D’ALBERTO 2013). In particolare rimane testimonianza di due statue in trono: una fu eretta nell’ospedale di Santo Spirito in Saxia (e di cui si conserva soltanto un piccolo frammento esposto nel cortile cinquecentesco dell’ospizio), l’altra, sollecitata da Cola di Rienzo al popolo romano quando era in delegazione ad Avignone, doveva essere realizzata in metallo prezioso ed essere collocata in Campidoglio, accanto alle effigi degli antichi condottieri romani. Non è dato sapere, allo stato attuale delle conoscenze, se si diede seguito alla commissione. Anche di Innocenzo VI (1352-1362), sebbene non al pari del suo predecessore, si conservano testimonianze molto significative che lasciano ipotizzare una pianificazione politica nell’utilizzo della sua immagine. A fronte di un numero relativamente esiguo di ritratti superstiti, i luoghi nei quali essi si trovano sono legati al suo patrocinio sia in forma diretta come nel caso della cappella di San Giovanni Battista della Chartreuse du Val de Bénédiction a Villeneuve lez Avignon, sia in forma indiretta come probabilmente nel caso del criptoritratto della cappella Cardini in Saint-Didier ad Avignone. Con Innocenzo VI, l’ultimo dei papi che risiedette senza soluzione di continuità in Provenza, si arresta questo percorso indiziario sull’autorappresentazione dei papi avignonesi. Al tempo di Urbano V (1362-1370), responsabile del primo rientro della curia a Roma dopo sessant’anni, si aprì infatti una stagione di profondi cambiamenti che si rifletté anche sulla natura delle immagini che ritraevano questo pontefice celebrato, già poco dopo la sua morte, come il fautore, quanto meno ideologico, della rinata romanità del Papato (OSBORNE 1991, BOLGIA 2002; WOLF 2007; LUCHERINI 2012).

La rappresentazione pubblica del potere papale fra Avignone e Roma prima di Clemente VI (1308-1342)

D'ALBERTO C
2015-01-01

Abstract

È ormai un dato criticamente acquisito, grazie soprattutto agli studi di Agostino Paravicini Bagliani (1994; 2012; 2013; in corso di stampa), che i papi al tempo del Papato avignonese accentuarono il fondamento teocratico della loro autorità, seguendo e potenziando di fatto l’esempio di Bonifacio VIII (1294-1303). Nonostante il paradosso storico, i papi francesi intuirono infatti che questo era l’unico modo per legittimare la rottura da Roma. Il presente intervento intende stabilire se il rafforzamento teocratico si esplicitò oltre che da un punto di vista liturgico e rituale, come è stato dimostrato, anche attraverso l’autorappresentazione e se in tale prospettiva si trattò di iniziative sporadiche o di campagne promosse con sistematicità. Per quanto possa sembrare sorprendente c’è un vuoto storiografico che come ha acutamente commentato Etienne Anheim (2007) può essere stato determinato da due ordini di ragioni: «…la prima è che Ladner purtroppo non pubblicò mai il volume da lui previsto sul Papato avignonese (…). L’altra, più generale, è il risultato del divorzio tra gli specialisti di Avignone, che si occupano esclusivamente del cosiddetto Papato francese e gli specialisti del Papato romano che tendono a considerare Avignone come una semplice parentesi». Le opere che sono prese in esame nel corso dell’intervento sono effigi papali esposte alla pubblica fruizione. Realizzate sia su media pittorici che scultorei, esse furono commissionate principalmente fra Roma e Avignone quando i pontefici ritratti erano ancora viventi. Si terranno dunque a latere i monumenti funebri rispetto ai quali si deve tuttavia ricordare che, diversi dai tipi curiali romani duecenteschi (GARDNER 1992 e 2014), si configuravano come dei veri e propri macro reliquiari in pietra in cui i loro resti mortali erano assimilati a reliquie miracolose (OLARIU 2009). I dati noti non sono numerosi e per di più, ad una prima scansione, risultano molto eterogenei fra loro. Ad esempio nel caso di Clemente V (1305-1314), Giorgio Vasari (Vite, ed. giuntina) tramanda che Giotto, di ritorno da Avignone a Firenze, recò con sé un ritratto del pontefice che donò poi a Taddeo Gaddi (CASTELNUOVO 2009). Se la notizia vasariana deve essere valutata con debita cautela, è molto probabile che Clemente V sia stato rappresentato nel ciclo pittorico conservato nella torre scalare ottagonale della collegiale di Saint- Pierre la Romieu fondata a partire dal 1312 dal cardinale Arnaud d’Aux de Lescout. Anche nel caso di Giovanni XXII (1316-1334) si hanno poche informazioni sulla sua ritrattistica onoraria e le poche informazioni che ci sono devono essere valutate con attenzione. Ad esempio Ladner (1941) ipotizza che fosse rappresentato nei perduti affreschi della controfacciata di San Paolo fuori le mura raffiguranti scene della Passione di Cristo e valutabili da un punto di vista iconografico grazie ai disegni contenuti in due manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana: il Barb. Lat. 4406 (i cui acquerelli furono eseguiti fra il 1634 e il 1635 su incarico del cardinal Francesco Barberini) e il Vat. Lat. 9843 (i cui disegni databili alla fine del Settecento sono preparatori alle tavole dell’Histoire de l’Art par les Monumens di Seroux D’Agincourt, Paris 1810-1823). Non è da sottovalutare in questa prospettiva che Giovanni XXII concesse il 31 gennaio 1325 di destinare il reddito quinquennale dell’altare maggiore della basilica ostiense alla realizzazione del mosaico di facciata andato poi distrutto nell’incendio del 1823 e nel quale è pure possibile che fosse rappresentato il pontefice come risulterebbe da alcune fonti iconografiche (BOLGIA in corso di stampa). Circa Benedetto XII (1334-1342) si deve registrare, allo stato attuale delle conoscenze, un’asimmetria piuttosto disorientante fra Roma e Avignone. Se in San Pietro in Vaticano egli patrocinò un potente messaggio autocelebrativo (D’ALBERTO 2013) commissionando tramite i suoi emissari un busto marmoreo (oggi conservato alle Grotte Vaticane) che imitava l’antecedente bonifaciano e due tavole dipinte (purtroppo disperse) nelle quali la sua figura campeggiava a grandezza naturale, in nessun altro cantiere dell’Urbe né soprattutto di Avignone si è conservato o è documentato un simile programma di autorappresentazione. Il pontificato di Clemente VI (1342-1352), indagato più approfonditamente dalla critica, ha restituito una tale ricchezza di dati da lasciare ipotizzare con ampi margini di verosimiglianza che questo pontefice utilizzasse l’autorappresentazione quale strumento di espressione teocratica. Da alcuni documenti rinvenuti nei registri di spesa papali (ANHEIM 2007) si ha notizia di due statuette in cera che lo raffiguravano e che furono realizzate rispettivamente per la chiesa di Saint-Maximin di Avignone e per l’Abbazia di La Chaise-Dieu. Anche in questo caso furono reiterati prototipi bonifaciani. Si allude alle due statuette che papa Caetani commissionò per la cattedrale di Reims nel 1290 (quando era ancora cardinale) e dieci anni più tardi per quella di Amiens (PARAVICINI BAGLIANI 2009). Altri ritratti di papa Roger sono tramandati da fonti seicentesche (ANHEIM 2007). Uno si trovava nella Sainte-Chapelle di Parigi e raffigurava Giovanni il Buono re di Francia insieme a un papa che però poteva essere anche Innocenzo VI. Un altro, forse dipinto da Matteo Giovannetti nel 1344, fu visto nella cappella di San Michele presso il Palazzo dei Papi di Avignone, dove anche il ciclo di San Marziale è stato interpretato da una consolidata linea storiografica in chiave clementina. A Roma l’indizione del Giubileo del 1350 fruttò a Clemente VI una ritrattistica onoraria da parte di quanti volevano ringraziarlo della concessione anticipata che faceva, peraltro, ben sperare in un imminente rientro della curia (D’ALBERTO 2013). In particolare rimane testimonianza di due statue in trono: una fu eretta nell’ospedale di Santo Spirito in Saxia (e di cui si conserva soltanto un piccolo frammento esposto nel cortile cinquecentesco dell’ospizio), l’altra, sollecitata da Cola di Rienzo al popolo romano quando era in delegazione ad Avignone, doveva essere realizzata in metallo prezioso ed essere collocata in Campidoglio, accanto alle effigi degli antichi condottieri romani. Non è dato sapere, allo stato attuale delle conoscenze, se si diede seguito alla commissione. Anche di Innocenzo VI (1352-1362), sebbene non al pari del suo predecessore, si conservano testimonianze molto significative che lasciano ipotizzare una pianificazione politica nell’utilizzo della sua immagine. A fronte di un numero relativamente esiguo di ritratti superstiti, i luoghi nei quali essi si trovano sono legati al suo patrocinio sia in forma diretta come nel caso della cappella di San Giovanni Battista della Chartreuse du Val de Bénédiction a Villeneuve lez Avignon, sia in forma indiretta come probabilmente nel caso del criptoritratto della cappella Cardini in Saint-Didier ad Avignone. Con Innocenzo VI, l’ultimo dei papi che risiedette senza soluzione di continuità in Provenza, si arresta questo percorso indiziario sull’autorappresentazione dei papi avignonesi. Al tempo di Urbano V (1362-1370), responsabile del primo rientro della curia a Roma dopo sessant’anni, si aprì infatti una stagione di profondi cambiamenti che si rifletté anche sulla natura delle immagini che ritraevano questo pontefice celebrato, già poco dopo la sua morte, come il fautore, quanto meno ideologico, della rinata romanità del Papato (OSBORNE 1991, BOLGIA 2002; WOLF 2007; LUCHERINI 2012).
2015
978-88-6728-506-8
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