Nel novero dei grandi programmi architettonici che nella seconda metà del XVIII secolo hanno dato origine a significative trasformazioni urbane, intrapresi a seguito della mutata concezione assistenziale influenzata dalle idee illuministiche e, quindi, da una maggiore consapevolezza scientifica, risulta particolarmente interessante la costruzione dell’Ospedale Diocesano di Jesi, inaugurato nel 1757. La struttura proseguiva un’antica tradizione locale riconducibile ad alcuni sanatori presenti già dal medioevo nella città marchigiana; in particolare l’ospedale di S. Lucia, gestito dall’omonima confraternita, che nel XV secolo aveva sede nella centrale piazza Federico II, in uno stabile prospiciente la Cattedrale. Il nuovo edificio ospedaliero, fondato in sostituzione del precedente per volontà del vescovo Fonseca poiché il vecchio complesso risultava essere ormai inadeguato, venne però affidato all’ordine di S. Giovanni di Dio, o dei Fatebenefratelli, giunto in città su invito dello stesso alto prelato. Oltre a rappresentare un singolare anello di congiunzione tra l’antica pratica assistenzialistica e la moderna medicina, l’Ospedale Diocesano ebbe altresì un ruolo fondamentale nell’assetto urbanistico di Jesi, collocandosi all’estremità occidentale del nucleo storico, lungo la principale direttrice di espansione del centro abitato, che alla fine del XVI secolo era ancora totalmente interno alla cinta muraria interrotta soltanto dalle diverse porte urbiche. Tra queste, fondamentale era la Porta Romana che spezzava la via Sabella, asse generatore nel tempo dell’ampliamento della città sul versante occidentale, verso gli Appennini e in direzione della capitale dello Stato Pontificio; strada che nel 1622 venne lastricata nel settore interno alle mura e proseguiva poi, al di fuori del limite urbano, sempre con andamento rettilineo, sviluppandosi lungo una stretta striscia di terreno pianeggiante e limitata lateralmente da versanti scoscesi. L’Ospedale, opera maggiore di rinnovamento urbano dell’epoca, sorse esattamente a metà tra Porta Romana e l’Arco Clementino innalzato nel punto di raccordo tra tale rettifilo e il percorso in declivio che collegava la quota dell’abitato con quella, più bassa, di un canale idrico minore, diramazione del fiume Esino: il percorso in discesa conduceva alla zona dove l’acqua, oltre ad alimentare un mulino, poteva essere agevolmente raccolta in vasche e utilizzata per vari scopi, verosimilmente anche connessi all’igiene e all’attività sanitaria. Il nuovo grande edificio costeggia la strada con il suo lungo fronte continuo, caratterizzato da un’esposizione ottimale verso sud-est, espressione di un sobrio barocco settecentesco; venne costruito su disegno dell’architetto Arcangelo Vici sul lato opposto rispetto al torrente, nel punto con migliore ventilazione e soleggiamento, proprio al centro del pianoro che nel 1775 sarebbe stato ulteriormente impreziosito dalla realizzazione del nuovo Orfanatrofio, ultimo elemento del programma di opere sociali della città nel XVIII secolo. Le varie vicende progettuali palesate dai documenti d’archivio, insieme all’analisi dell’innovativa organizzazione planimetrica del luogo di cura, contraddistinto da una pianta rettangolare simmetrica ordinata intorno alla cappella centrale e ai due piccoli cortili quadrati laterali, devono essere necessariamente integrate con lo studio dello sviluppo urbano di Jesi, anche in epoche successive alla fondazione del nosocomio, nonché con l’esame delle caratteristiche morfologiche del suolo che condizionarono l’ideazione dell’Ospedale.
L’Ospedale Diocesano e l’espansione urbana settecentesca di Jesi
Claudio Mazzanti
2021-01-01
Abstract
Nel novero dei grandi programmi architettonici che nella seconda metà del XVIII secolo hanno dato origine a significative trasformazioni urbane, intrapresi a seguito della mutata concezione assistenziale influenzata dalle idee illuministiche e, quindi, da una maggiore consapevolezza scientifica, risulta particolarmente interessante la costruzione dell’Ospedale Diocesano di Jesi, inaugurato nel 1757. La struttura proseguiva un’antica tradizione locale riconducibile ad alcuni sanatori presenti già dal medioevo nella città marchigiana; in particolare l’ospedale di S. Lucia, gestito dall’omonima confraternita, che nel XV secolo aveva sede nella centrale piazza Federico II, in uno stabile prospiciente la Cattedrale. Il nuovo edificio ospedaliero, fondato in sostituzione del precedente per volontà del vescovo Fonseca poiché il vecchio complesso risultava essere ormai inadeguato, venne però affidato all’ordine di S. Giovanni di Dio, o dei Fatebenefratelli, giunto in città su invito dello stesso alto prelato. Oltre a rappresentare un singolare anello di congiunzione tra l’antica pratica assistenzialistica e la moderna medicina, l’Ospedale Diocesano ebbe altresì un ruolo fondamentale nell’assetto urbanistico di Jesi, collocandosi all’estremità occidentale del nucleo storico, lungo la principale direttrice di espansione del centro abitato, che alla fine del XVI secolo era ancora totalmente interno alla cinta muraria interrotta soltanto dalle diverse porte urbiche. Tra queste, fondamentale era la Porta Romana che spezzava la via Sabella, asse generatore nel tempo dell’ampliamento della città sul versante occidentale, verso gli Appennini e in direzione della capitale dello Stato Pontificio; strada che nel 1622 venne lastricata nel settore interno alle mura e proseguiva poi, al di fuori del limite urbano, sempre con andamento rettilineo, sviluppandosi lungo una stretta striscia di terreno pianeggiante e limitata lateralmente da versanti scoscesi. L’Ospedale, opera maggiore di rinnovamento urbano dell’epoca, sorse esattamente a metà tra Porta Romana e l’Arco Clementino innalzato nel punto di raccordo tra tale rettifilo e il percorso in declivio che collegava la quota dell’abitato con quella, più bassa, di un canale idrico minore, diramazione del fiume Esino: il percorso in discesa conduceva alla zona dove l’acqua, oltre ad alimentare un mulino, poteva essere agevolmente raccolta in vasche e utilizzata per vari scopi, verosimilmente anche connessi all’igiene e all’attività sanitaria. Il nuovo grande edificio costeggia la strada con il suo lungo fronte continuo, caratterizzato da un’esposizione ottimale verso sud-est, espressione di un sobrio barocco settecentesco; venne costruito su disegno dell’architetto Arcangelo Vici sul lato opposto rispetto al torrente, nel punto con migliore ventilazione e soleggiamento, proprio al centro del pianoro che nel 1775 sarebbe stato ulteriormente impreziosito dalla realizzazione del nuovo Orfanatrofio, ultimo elemento del programma di opere sociali della città nel XVIII secolo. Le varie vicende progettuali palesate dai documenti d’archivio, insieme all’analisi dell’innovativa organizzazione planimetrica del luogo di cura, contraddistinto da una pianta rettangolare simmetrica ordinata intorno alla cappella centrale e ai due piccoli cortili quadrati laterali, devono essere necessariamente integrate con lo studio dello sviluppo urbano di Jesi, anche in epoche successive alla fondazione del nosocomio, nonché con l’esame delle caratteristiche morfologiche del suolo che condizionarono l’ideazione dell’Ospedale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.