La città rappresenta una delle manifestazioni più importanti e complesse della storia umana: molteplici sono le prospettive di analisi e d’indagine che possono contribuire alla sua comprensione storica, sociologica e culturale. Essa, infatti, non è soltanto una forma di spazializzazione della dimensione sociale “consapevole” come progetto, azione e razionalità, così come mostrata dalla potente immagine della “città dell’Occidente” in Max Weber. La città, nel suo sviluppo e nella sua esistenza, include anche una dimensione sociale inconscia: l’inconscio sociale urba- no. Questo può essere inteso come l’insieme di forze che animano la coscienza collettiva e sostanziano sotterraneamente l’immaginario sociale ben al di là della piena consapevolezza dei singoli individui: una linea interpretativa che riprende il pensiero di sociologi come Georg Simmel e Robert E. Park consente di porre in luce questo tema. Ad arricchire tale impostazione, accanto al pensiero sociologico occorre consi- derare la tradizione di pensiero utopico. Le utopie sono spesso rappresentate in insediamenti urbani nei quali l’organizzazione cittadina riflette l’ordine e l’armonia sociali. Dalla città ideale rinascimentale fino ai progetti urbanistici della modernità e della post-modernità, è possibile sostenere, leggendo ad esempio studiosi come Jean Servier, che l’inconscio sociale si pone come la matrice che ispira e sostanzia l’ideazione e la rappresentazione delle città perfette, dotandole di una profondità che travalica la dimensione storica attingendo, questa la tesi, a fonti archetipiche dell’inconscio collettivo. In una prospettiva che si colloca proprio all’incrocio tra pensiero utopico, sociolo- gia e architettura/urbanistica si prende in esame, quindi, la rivista-collettivo Utopie. Revue de Sociologie de l’Urbain fondata da Henry Lefebvre alla fine degli anni Sessanta. Essa costituisce un esempio particolarmente rilevante delle valenze che l’inconscio urbano può assumere in una prospettiva critica e politica, nella quale la teoria si tro- va saldata alla prassi, programmaticamente volta a un rinnovamento radicale tanto delle scienze dell’abitare e urbanistiche quanto delle forme della vita quotidiana. Infine, un ulteriore punto di osservazione particolarmente interessante è costituito dalla relazione che la città intrattiene con la dimensione del tempo. La città è, senza dubbio, la materia vivente di temporalità sovrapposte e intrecciate: essa appare stratificata come la psiche dove ricordi, memorie e traumi si celano fin negli strati più profondi, inaccessibili, inconsci secondo l’immagine della Roma antica nella celebre pagina di Freud. Parimenti, la città è come il linguaggio, spazio strutturato e temporalmente mobile, predeterminato nelle sue forme e aperto a usi innovativi e a pratiche originali in altrettanto note pagine di Ludwig Wittgenstein. La città, come luogo di una dinamica contraddittoria tra razionalità progettante e incon- scio sociale, trova nella dialettica dei tempi storici una chiave di lettura feconda e promettente. Sullo sfondo dello scenario critico evocato, l’intervento prova in conclusione a svi- luppare un ragionamento centrato sull’adesso. Nel tempo pandemico e nel prossimo futuro che si annuncia, le città sono oggi esposte a una polarizzazione immaginale di rara potenza e senza precedenti. Da una parte restano negli occhi e nella memoria – e ancora si annunciano come possibili o addirittura inevitabili per nuove crisi – le città deserte, prive di umani e di vita sociale durante i lockdown, attraversate da ani- mali solitari o in branco, come città-fantasma di un tempo post-umano. Dall’altra, si annunciano e si promettono con toni entusiastici le città dell’Agenda 2030 come “insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili”. Le città del prossimo futuro realizzeranno, secondo quanto dichiarato, un’urbanizzazione inclusiva e so- stenibile, sempre più ampia e diffusa, governata secondo principi comuni e globali. Esse però saranno, non diversamente dalla Parigi del XIX secolo o dalla New York del XX, anche i nuovi emblemi di un rinnovato capitalismo trionfante nel segno del green e della sostenibilità. In che modo è possibile individuare la corrente di inconscio sociale che si muove tra queste due polarità dell’immagine dialettica della città oggi, che cosa esso rap- presenta e quale spazio-tempo è possibile quanto necessario pensare per un’idea di città che sfugga alla logica di una città morta senza umani di contro a una città dis/u-topicamente iperfuzionalizzata e tecnoscientificamente sostenibile?

L’inconscio sociale e la dimensione urbana. Utopia, immaginario e temporalità della città nell’adesso pandemico

Dario Altobelli
2023-01-01

Abstract

La città rappresenta una delle manifestazioni più importanti e complesse della storia umana: molteplici sono le prospettive di analisi e d’indagine che possono contribuire alla sua comprensione storica, sociologica e culturale. Essa, infatti, non è soltanto una forma di spazializzazione della dimensione sociale “consapevole” come progetto, azione e razionalità, così come mostrata dalla potente immagine della “città dell’Occidente” in Max Weber. La città, nel suo sviluppo e nella sua esistenza, include anche una dimensione sociale inconscia: l’inconscio sociale urba- no. Questo può essere inteso come l’insieme di forze che animano la coscienza collettiva e sostanziano sotterraneamente l’immaginario sociale ben al di là della piena consapevolezza dei singoli individui: una linea interpretativa che riprende il pensiero di sociologi come Georg Simmel e Robert E. Park consente di porre in luce questo tema. Ad arricchire tale impostazione, accanto al pensiero sociologico occorre consi- derare la tradizione di pensiero utopico. Le utopie sono spesso rappresentate in insediamenti urbani nei quali l’organizzazione cittadina riflette l’ordine e l’armonia sociali. Dalla città ideale rinascimentale fino ai progetti urbanistici della modernità e della post-modernità, è possibile sostenere, leggendo ad esempio studiosi come Jean Servier, che l’inconscio sociale si pone come la matrice che ispira e sostanzia l’ideazione e la rappresentazione delle città perfette, dotandole di una profondità che travalica la dimensione storica attingendo, questa la tesi, a fonti archetipiche dell’inconscio collettivo. In una prospettiva che si colloca proprio all’incrocio tra pensiero utopico, sociolo- gia e architettura/urbanistica si prende in esame, quindi, la rivista-collettivo Utopie. Revue de Sociologie de l’Urbain fondata da Henry Lefebvre alla fine degli anni Sessanta. Essa costituisce un esempio particolarmente rilevante delle valenze che l’inconscio urbano può assumere in una prospettiva critica e politica, nella quale la teoria si tro- va saldata alla prassi, programmaticamente volta a un rinnovamento radicale tanto delle scienze dell’abitare e urbanistiche quanto delle forme della vita quotidiana. Infine, un ulteriore punto di osservazione particolarmente interessante è costituito dalla relazione che la città intrattiene con la dimensione del tempo. La città è, senza dubbio, la materia vivente di temporalità sovrapposte e intrecciate: essa appare stratificata come la psiche dove ricordi, memorie e traumi si celano fin negli strati più profondi, inaccessibili, inconsci secondo l’immagine della Roma antica nella celebre pagina di Freud. Parimenti, la città è come il linguaggio, spazio strutturato e temporalmente mobile, predeterminato nelle sue forme e aperto a usi innovativi e a pratiche originali in altrettanto note pagine di Ludwig Wittgenstein. La città, come luogo di una dinamica contraddittoria tra razionalità progettante e incon- scio sociale, trova nella dialettica dei tempi storici una chiave di lettura feconda e promettente. Sullo sfondo dello scenario critico evocato, l’intervento prova in conclusione a svi- luppare un ragionamento centrato sull’adesso. Nel tempo pandemico e nel prossimo futuro che si annuncia, le città sono oggi esposte a una polarizzazione immaginale di rara potenza e senza precedenti. Da una parte restano negli occhi e nella memoria – e ancora si annunciano come possibili o addirittura inevitabili per nuove crisi – le città deserte, prive di umani e di vita sociale durante i lockdown, attraversate da ani- mali solitari o in branco, come città-fantasma di un tempo post-umano. Dall’altra, si annunciano e si promettono con toni entusiastici le città dell’Agenda 2030 come “insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili”. Le città del prossimo futuro realizzeranno, secondo quanto dichiarato, un’urbanizzazione inclusiva e so- stenibile, sempre più ampia e diffusa, governata secondo principi comuni e globali. Esse però saranno, non diversamente dalla Parigi del XIX secolo o dalla New York del XX, anche i nuovi emblemi di un rinnovato capitalismo trionfante nel segno del green e della sostenibilità. In che modo è possibile individuare la corrente di inconscio sociale che si muove tra queste due polarità dell’immagine dialettica della città oggi, che cosa esso rap- presenta e quale spazio-tempo è possibile quanto necessario pensare per un’idea di città che sfugga alla logica di una città morta senza umani di contro a una città dis/u-topicamente iperfuzionalizzata e tecnoscientificamente sostenibile?
2023
9791280325976
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11564/798393
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