Nell’articolata topografia della Medina di Tripoli sono riconoscibili segni urbani noti, riconducibili ad alcuni particolari momenti della sua storia: i tracciati ortogonali di alcune strade che richiamano l’ordine e la misura cardo-decumanica dell’impianto classico, i percorsi curvilinei e irregolari da cui si generano vicoli e cul de sac a raggiungere le parti più interne delle città arabo-islamiche, le geometrie poligonali delle mura e delle fortificazioni bastionate cinquecentesche. Tali elementi, in una visione diacronica, rivelano momenti formativi di una complessa evoluzione urbana; in una visione sincronica, essi suggeriscono, attraverso la sovrapposizione e la trasformazione delle tracce storiche, il carattere composito della cultura urbana del Mediterraneo. A tale composita organicità urbana corrisponde, almeno fino agli inizi del nostro secolo, il sinecismo e la relativa integrazione, pur nella diversa specializzazione delle arti e dei mestieri, tra varie comunità etniche e religiose : maltesi, siciliani, arabi e centro-africani; musulmani, ebrei, cristiani. Tale integrazione è testimoniata oltre che dalla varietà di tipologie e tecniche costruttive attribuibili ai diversi gruppi umani, dalla presenza, accanto alle moschee e alle altre istituzioni collettive della città islamica (quelle commerciali suq plur. aswaq, funduq plur. fanadiq, le scuole religiose madrasa plur. madaris, i bagni pubblici hammam plur. hammamat) delle sinagoghe, numerose fino all’abbandono della Libia da parte degli ebrei nel 1967, a seguito della guerra dei Sei Giorni; della chiesa di S. Maria degli Angeli, la cui cupola emerge, accanto ai minareti, sul piatto panorama urbano della Medina; delle scuole per la popolazione ebraica e cristiana. Tale multiforme identità è entrata in crisi. Diverse componenti storiche della città versano in forte stato di degrado. Particolari vicende hanno allontanato alcuni gruppi etnici, sostituendoli con un’immigrazione diversamente qualificata. L’introduzione di nuove tecniche costruttive e di controllo ambientale hanno prodotto manufatti estranei rispetto a tessuti omogenei e consolidati. Per tali ragioni gran parte delle medine esistenti stanno subendo delle forti trasformazioni nella loro topografia, immagine, vita sociale, funzioni e relazioni con la città nuova. Quel meraviglioso aggregato unitario e compatto, fatto di una materia edilizia fresata da esili percorsi filamentosi , articolato dalla diversità e dalle emergenze delle istituzioni collettive, è minacciato da metastasi vuote e senza forma, e da una trasformazione tipologica delle unità edilizie che corrode, dall’interno, l’antico patto di mutua cooperazione tra morfologia urbana e tipologia edilizia. Questa nuova realtà non riguarda più questa o quella casa come uno dei tanti elementi componenti il tessuto urbano, questo o quello spazio vuoto prodotto da un degrado esclusivamente locale, ma investe le caratteristiche originarie, genetiche, di quello stesso tessuto. Mi sorprendo allora a pensare a una trasformazione non più passivamente e ineluttabilmente subita, ma voluta, progettata. Una trasformazione che sia in grado di riattivare quel connubio tra la straordinaria densità e intensità di relazioni pubbliche e la relativa autonomia di alcuni ambiti protetti che la prossimità, la concentrazione e la continuità fisica del tessuto urbano della medina mediterranea avevano saputo sapientemente esprimere.

Tripoli Madinat al-Qadima: un tessuto urbano mediterraneo

MICARA, Ludovico
2005-01-01

Abstract

Nell’articolata topografia della Medina di Tripoli sono riconoscibili segni urbani noti, riconducibili ad alcuni particolari momenti della sua storia: i tracciati ortogonali di alcune strade che richiamano l’ordine e la misura cardo-decumanica dell’impianto classico, i percorsi curvilinei e irregolari da cui si generano vicoli e cul de sac a raggiungere le parti più interne delle città arabo-islamiche, le geometrie poligonali delle mura e delle fortificazioni bastionate cinquecentesche. Tali elementi, in una visione diacronica, rivelano momenti formativi di una complessa evoluzione urbana; in una visione sincronica, essi suggeriscono, attraverso la sovrapposizione e la trasformazione delle tracce storiche, il carattere composito della cultura urbana del Mediterraneo. A tale composita organicità urbana corrisponde, almeno fino agli inizi del nostro secolo, il sinecismo e la relativa integrazione, pur nella diversa specializzazione delle arti e dei mestieri, tra varie comunità etniche e religiose : maltesi, siciliani, arabi e centro-africani; musulmani, ebrei, cristiani. Tale integrazione è testimoniata oltre che dalla varietà di tipologie e tecniche costruttive attribuibili ai diversi gruppi umani, dalla presenza, accanto alle moschee e alle altre istituzioni collettive della città islamica (quelle commerciali suq plur. aswaq, funduq plur. fanadiq, le scuole religiose madrasa plur. madaris, i bagni pubblici hammam plur. hammamat) delle sinagoghe, numerose fino all’abbandono della Libia da parte degli ebrei nel 1967, a seguito della guerra dei Sei Giorni; della chiesa di S. Maria degli Angeli, la cui cupola emerge, accanto ai minareti, sul piatto panorama urbano della Medina; delle scuole per la popolazione ebraica e cristiana. Tale multiforme identità è entrata in crisi. Diverse componenti storiche della città versano in forte stato di degrado. Particolari vicende hanno allontanato alcuni gruppi etnici, sostituendoli con un’immigrazione diversamente qualificata. L’introduzione di nuove tecniche costruttive e di controllo ambientale hanno prodotto manufatti estranei rispetto a tessuti omogenei e consolidati. Per tali ragioni gran parte delle medine esistenti stanno subendo delle forti trasformazioni nella loro topografia, immagine, vita sociale, funzioni e relazioni con la città nuova. Quel meraviglioso aggregato unitario e compatto, fatto di una materia edilizia fresata da esili percorsi filamentosi , articolato dalla diversità e dalle emergenze delle istituzioni collettive, è minacciato da metastasi vuote e senza forma, e da una trasformazione tipologica delle unità edilizie che corrode, dall’interno, l’antico patto di mutua cooperazione tra morfologia urbana e tipologia edilizia. Questa nuova realtà non riguarda più questa o quella casa come uno dei tanti elementi componenti il tessuto urbano, questo o quello spazio vuoto prodotto da un degrado esclusivamente locale, ma investe le caratteristiche originarie, genetiche, di quello stesso tessuto. Mi sorprendo allora a pensare a una trasformazione non più passivamente e ineluttabilmente subita, ma voluta, progettata. Una trasformazione che sia in grado di riattivare quel connubio tra la straordinaria densità e intensità di relazioni pubbliche e la relativa autonomia di alcuni ambiti protetti che la prossimità, la concentrazione e la continuità fisica del tessuto urbano della medina mediterranea avevano saputo sapientemente esprimere.
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