La problematica riflessione tennysoniana sulla relazione tra la malinconia e la sua espressione letteraria rappresenta, senza dubbio, uno degli aspetti più controversi della sua produzione poetica. Tennyson, com’è noto, non tenta sintesi conciliatorie, non cerca una verità metafisica che tenga insieme i due corni della sua riflessione ontologica, ma mette a frutto l’apertura degli orizzonti con la pratica del dubbio come “metodo”. Nell’epoca delle grandi sintesi idealistiche di marca tedesca, soprattutto, Tennyson sceglie di non chiudere i circoli ermeneutici in una apodittica conclusione, ma indugia sul versante eristico — di una dialettica non sintetica — della ricerca del senso. Non giunge, è vero, ad una epochè scettica, non decide di rimanere all’interno di una tradizione a lui più vicina e, forse, congeniale, né accetta la visione positiva delle cose ma, con lo scopo di restituire intatti i suoi tormenti e il loro procedere, sceglie di farsi “soglia”, punto di incontro di due sentieri non riducibili, non sintetici. Questa particolare posizione gli permette il vantaggio di poter osservare e restituire la complessità delle cose, così come si presentano alla sua osservazione riflessiva. All’interno di questo complesso edificio teoretico si colloca, non la riflessione di Tennyson sulla malinconia, la sua poesia non è una meditazione di questo particolare “oggetto”, come per Keats in “Ode On Melancholy”, ma la Malinconia “in atto”, in azione. L’epifania, l’apparizione della malinconia è, nel poeta, lotta strenua tra la memoria e l’oblio, la presenza e la perdita: avvertiti entrambi come rischi necessari, scommesse. L’esito di questo rischio è la grande elegia per Arthur Hallam, “In Memoriam”.

Malinconia e spiritual insight nella poesia di Alfred Tennyosn

PARTENZA, Paola
2008-01-01

Abstract

La problematica riflessione tennysoniana sulla relazione tra la malinconia e la sua espressione letteraria rappresenta, senza dubbio, uno degli aspetti più controversi della sua produzione poetica. Tennyson, com’è noto, non tenta sintesi conciliatorie, non cerca una verità metafisica che tenga insieme i due corni della sua riflessione ontologica, ma mette a frutto l’apertura degli orizzonti con la pratica del dubbio come “metodo”. Nell’epoca delle grandi sintesi idealistiche di marca tedesca, soprattutto, Tennyson sceglie di non chiudere i circoli ermeneutici in una apodittica conclusione, ma indugia sul versante eristico — di una dialettica non sintetica — della ricerca del senso. Non giunge, è vero, ad una epochè scettica, non decide di rimanere all’interno di una tradizione a lui più vicina e, forse, congeniale, né accetta la visione positiva delle cose ma, con lo scopo di restituire intatti i suoi tormenti e il loro procedere, sceglie di farsi “soglia”, punto di incontro di due sentieri non riducibili, non sintetici. Questa particolare posizione gli permette il vantaggio di poter osservare e restituire la complessità delle cose, così come si presentano alla sua osservazione riflessiva. All’interno di questo complesso edificio teoretico si colloca, non la riflessione di Tennyson sulla malinconia, la sua poesia non è una meditazione di questo particolare “oggetto”, come per Keats in “Ode On Melancholy”, ma la Malinconia “in atto”, in azione. L’epifania, l’apparizione della malinconia è, nel poeta, lotta strenua tra la memoria e l’oblio, la presenza e la perdita: avvertiti entrambi come rischi necessari, scommesse. L’esito di questo rischio è la grande elegia per Arthur Hallam, “In Memoriam”.
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