Questo lavoro prende avvio dalla seguente domanda: il benessere organizzativo è frutto di un processo top-down o bottom-up? In altre parole, chi ne è il responsabile? Da chi dipende? Numerosi sono gli approcci, particolarmente in ambito psicologico, che sostengono esista una correlazione positiva tra uno stile “etico” di leadership e il benessere organizzativo. Un esempio di leadership tipicamente etica è la cosiddetta “servant-leadership” che guarda al leader proprio come ad un “servant” dei propri collaboratori e dipendenti, con la mission di soddisfare i loro bisogni prima che i propri. Recenti indagini hanno cercato di controllare empiricamente la proposizione che lega la leadership etica alla soddisfazione nel lavoro e hanno rilevato che tale correlazione esiste quando è per così dire mediata dalla percezione della presenza di una “giustizia organizzativa”. In letteratura, la giustizia organizzativa sembra fondarsi su quattro dimensioni: “distributive justice”, “procedural justice”, “interpersonal justice” e “informational justice”. Esse si basano essenzialmente sulla percezione dell’equità mostrata nel riconoscere il contributo fornito da ciascuno alla realizzazione di un risultato e della correttezza delle procedure utilizzate per raggiungere una meta; sulla percezione del comportamento manifestato nelle relazioni con gli altri e infine della trasparenza e della chiarezza delle informazioni fornite in merito ai compiti da svolgere. L’equità e la correttezza del leader avrebbero la funzione di un’euristica di giudizio (Fairness Heuristic Theory) nel senso che agirebbero positivamente nel risolvere il “follower’s dilemma”: assecondare il leader o operare in modo autonomo? Ebbene, la “fairness” sembrerebbe permettere al follower di decidere rapidamente se fidarsi del leader e dunque se seguire le sue indicazioni. Le considerazioni sulla giustizia organizzativa e sul concetto di fairness del leader, da un lato, mostrano l’inconsistenza delle proposte di “manager della felicità” o di “professionisti del benessere” depositari di formule ideali per “organizzazioni felici” e dall’altro lato conducono nella direzione della tesi che si intende sostenere in questo saggio, per la quale, i concetti fondamentali dell’individualismo metodologico - la ‘razionalità soggettiva’, la ‘dispersione delle conoscenze’, le ‘conseguenze inintenzionali’, la differenziazione tra ‘ordini costruiti’ e ‘ordini spontanei’ - possono contribuire ad arricchire di nuove categorie concettuali lo studio delle organizzazioni e possono aiutare a comprendere le radici logiche epistemologiche e gnoseologiche della ricerca del benessere nei luoghi di lavoro. Infine, visto il recente interesse nelle amministrazioni pubbliche nei confronti di modelli di benessere, la letteratura organizzativa a cui faremo riferimento sarà quella che ha avuto ad oggetto proprio le organizzazioni burocratiche.

La promozione del benessere organizzativo nella pubblica amministrazione: alcuni aspetti teorici

GALLUCCIO, Caterina
2009-01-01

Abstract

Questo lavoro prende avvio dalla seguente domanda: il benessere organizzativo è frutto di un processo top-down o bottom-up? In altre parole, chi ne è il responsabile? Da chi dipende? Numerosi sono gli approcci, particolarmente in ambito psicologico, che sostengono esista una correlazione positiva tra uno stile “etico” di leadership e il benessere organizzativo. Un esempio di leadership tipicamente etica è la cosiddetta “servant-leadership” che guarda al leader proprio come ad un “servant” dei propri collaboratori e dipendenti, con la mission di soddisfare i loro bisogni prima che i propri. Recenti indagini hanno cercato di controllare empiricamente la proposizione che lega la leadership etica alla soddisfazione nel lavoro e hanno rilevato che tale correlazione esiste quando è per così dire mediata dalla percezione della presenza di una “giustizia organizzativa”. In letteratura, la giustizia organizzativa sembra fondarsi su quattro dimensioni: “distributive justice”, “procedural justice”, “interpersonal justice” e “informational justice”. Esse si basano essenzialmente sulla percezione dell’equità mostrata nel riconoscere il contributo fornito da ciascuno alla realizzazione di un risultato e della correttezza delle procedure utilizzate per raggiungere una meta; sulla percezione del comportamento manifestato nelle relazioni con gli altri e infine della trasparenza e della chiarezza delle informazioni fornite in merito ai compiti da svolgere. L’equità e la correttezza del leader avrebbero la funzione di un’euristica di giudizio (Fairness Heuristic Theory) nel senso che agirebbero positivamente nel risolvere il “follower’s dilemma”: assecondare il leader o operare in modo autonomo? Ebbene, la “fairness” sembrerebbe permettere al follower di decidere rapidamente se fidarsi del leader e dunque se seguire le sue indicazioni. Le considerazioni sulla giustizia organizzativa e sul concetto di fairness del leader, da un lato, mostrano l’inconsistenza delle proposte di “manager della felicità” o di “professionisti del benessere” depositari di formule ideali per “organizzazioni felici” e dall’altro lato conducono nella direzione della tesi che si intende sostenere in questo saggio, per la quale, i concetti fondamentali dell’individualismo metodologico - la ‘razionalità soggettiva’, la ‘dispersione delle conoscenze’, le ‘conseguenze inintenzionali’, la differenziazione tra ‘ordini costruiti’ e ‘ordini spontanei’ - possono contribuire ad arricchire di nuove categorie concettuali lo studio delle organizzazioni e possono aiutare a comprendere le radici logiche epistemologiche e gnoseologiche della ricerca del benessere nei luoghi di lavoro. Infine, visto il recente interesse nelle amministrazioni pubbliche nei confronti di modelli di benessere, la letteratura organizzativa a cui faremo riferimento sarà quella che ha avuto ad oggetto proprio le organizzazioni burocratiche.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11564/159586
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