Il sogno è imparentato strettamente con la memoria (nel senso della poetica rimembranza/ricordanza); e una medesima disposizione mentale presiede all’attivazione e alla ricezione di entrambi questi meccanismi complessi del pensiero. Sogno e ricordo si confondono nella poesia leopardiana, strutturando i singoli Canti sulla base di funzioni metaforiche complesse, che rimandano a modi di funzionamento del pensiero onirico e della memoria. Il caso che qui viene proposto è quello della caduta della luna, che si scorge in filigrana in molti Canti. In questo incubo ricorrente e quasi ossessivo nel pensiero leopardiano l’immagine lunare esce da se stessa per protendersi verso il basso, annullandosi nella caduta, e poi torna indietro, quasi risorta dalle proprie macerie, privata ormai della sua luminosità, per restituire la propria assenza, il proprio vuoto, al cielo: in una riproposizione figurata, quasi di sapore medievale, del processo onirico, in cui la ragione, facendo astrazione da se stessa, sdoppia per così dire l’immagine sognata costringendola – e costringendosi – a guardarsi dal di fuori, producendo una conoscenza fantasmatica, umbratile: non una luce piena e sensibile, ma un barlume.
Come un barlume, o un’orma: il sogno di Leopardi
DEL GATTO, ANTONELLA
2008-01-01
Abstract
Il sogno è imparentato strettamente con la memoria (nel senso della poetica rimembranza/ricordanza); e una medesima disposizione mentale presiede all’attivazione e alla ricezione di entrambi questi meccanismi complessi del pensiero. Sogno e ricordo si confondono nella poesia leopardiana, strutturando i singoli Canti sulla base di funzioni metaforiche complesse, che rimandano a modi di funzionamento del pensiero onirico e della memoria. Il caso che qui viene proposto è quello della caduta della luna, che si scorge in filigrana in molti Canti. In questo incubo ricorrente e quasi ossessivo nel pensiero leopardiano l’immagine lunare esce da se stessa per protendersi verso il basso, annullandosi nella caduta, e poi torna indietro, quasi risorta dalle proprie macerie, privata ormai della sua luminosità, per restituire la propria assenza, il proprio vuoto, al cielo: in una riproposizione figurata, quasi di sapore medievale, del processo onirico, in cui la ragione, facendo astrazione da se stessa, sdoppia per così dire l’immagine sognata costringendola – e costringendosi – a guardarsi dal di fuori, producendo una conoscenza fantasmatica, umbratile: non una luce piena e sensibile, ma un barlume.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.