Che L’Aquila - capoluogo di una regione poco popolata, ma densa di risorse ambientali e storiche - sia anche e soprattutto una città universitaria, a fronte dei suoi oltre 20.000 studenti iscritti – quasi uno studente per ogni quattro abitanti – lo si scopre, all’indomani del terremoto del 6 aprile 2009, anche e soprattutto per il tributo che proprio gli studenti pagano, in prima persona, all’interno di una tragedia per molti versi annunciata, su cui pesano errori e responsabilità del prima e del dopo. Delle 309 vittime ufficiali del sisma, 220 si riscontrano nel centro del comune capoluogo, e in particolare nel suo notevole centro storico, uno dei più estesi e importanti d’Italia. Tra queste, 55 sono studenti universitari, e 8 di loro muoiono nella Casa dello Studente, appena fuori del centro storico, nonostante la preoccupazione e l’allarme, antecedente alla scossa più grave, ma inascoltato, dei suoi abitanti. Anche all’Aquila, come altrove, in genere, in Italia, gli studenti fuori sede occupano immobili in cattive condizioni edilizie, molto spesso con contratti in nero. Nei terremoti, in genere, crollano le case peggiori. Molti degli edifici crollati, su cui si contano il maggior numero delle vittime e dei feriti, sono costruzioni in cemento armato, realizzate nel dopo guerra, forse in economia, in probabile omissione delle norme del buon costruire, oltre che di quelle sismiche . Prima del terremoto, in una provincia già segnata, da tempo, da un preoccupante declino socio economico, aggravato dalla crisi finanziaria internazionale , la presenza dell’Università poteva ancora essere considerata tra i pochi fattori d’innovazione e di vitalità che la città fosse in grado di presentare . Ragione avrebbe voluto che superata la fase dell’emergenza, la difesa e lo sviluppo dell’Università fossero assunti, da subito, da parte dello Stato e delle istituzioni locali, come una delle occasioni strategiche cui legare un nuovo, efficace modello di riassetto e rilancio della città. Ciò non è stato, nel grande show mediatico e soprattutto televisivo che ha caratterizzato l’intervento del Governo e del suo rinvigorito braccio operativo della Protezione civile, soprattutto nella fase immediatamente successiva all’emergenza, un intervento tutto votato a dimostrare la geometrica potenza dell’esecutivo, perché capace di risolvere, “per la prima volta in Italia” - l’emergenza residenziale del post sisma, considerata come l’unica, vera questione posta da un terremoto che, nella realtà, poneva problemi di natura sociale ed economica. Qui, più che altrove, e qui, più che in passato. Omettendo ad arte tutte le esperienze precedenti di ricostruzione (Friuli, Irpinia, Umbria e Marche ), e, tra queste, anche e soprattutto quelle virtuose, nella forsennata rincorsa del preteso, immancabile, nuovo “miracolo” aquilano. A partire da queste prime considerazioni, il saggio tenta un bilancio di una vicenda ancora in corso, suggerendo alcune ipotesi di azione e di intervento sviluppate a partire dall'idea dell'università all'Aquila come principale occasione strategica di rigenerazione urbana per la città e l'intera area del "cratere" aquilano. Fanno da corredo al testo numerose immagini di interpretazione dei processi in corso e di prefigurazione progettuale di nuovi interventi per favorire il ritorno dell'università all'interno del centro storico, realizzati all'interno di alcune esperienze didattiche condotte dall'autore nella facoltà di Architettura di Pescara.
L'Aquila città universitaria, prima e dopo il sisma del 2009
ROVIGATTI, Pietro
2012-01-01
Abstract
Che L’Aquila - capoluogo di una regione poco popolata, ma densa di risorse ambientali e storiche - sia anche e soprattutto una città universitaria, a fronte dei suoi oltre 20.000 studenti iscritti – quasi uno studente per ogni quattro abitanti – lo si scopre, all’indomani del terremoto del 6 aprile 2009, anche e soprattutto per il tributo che proprio gli studenti pagano, in prima persona, all’interno di una tragedia per molti versi annunciata, su cui pesano errori e responsabilità del prima e del dopo. Delle 309 vittime ufficiali del sisma, 220 si riscontrano nel centro del comune capoluogo, e in particolare nel suo notevole centro storico, uno dei più estesi e importanti d’Italia. Tra queste, 55 sono studenti universitari, e 8 di loro muoiono nella Casa dello Studente, appena fuori del centro storico, nonostante la preoccupazione e l’allarme, antecedente alla scossa più grave, ma inascoltato, dei suoi abitanti. Anche all’Aquila, come altrove, in genere, in Italia, gli studenti fuori sede occupano immobili in cattive condizioni edilizie, molto spesso con contratti in nero. Nei terremoti, in genere, crollano le case peggiori. Molti degli edifici crollati, su cui si contano il maggior numero delle vittime e dei feriti, sono costruzioni in cemento armato, realizzate nel dopo guerra, forse in economia, in probabile omissione delle norme del buon costruire, oltre che di quelle sismiche . Prima del terremoto, in una provincia già segnata, da tempo, da un preoccupante declino socio economico, aggravato dalla crisi finanziaria internazionale , la presenza dell’Università poteva ancora essere considerata tra i pochi fattori d’innovazione e di vitalità che la città fosse in grado di presentare . Ragione avrebbe voluto che superata la fase dell’emergenza, la difesa e lo sviluppo dell’Università fossero assunti, da subito, da parte dello Stato e delle istituzioni locali, come una delle occasioni strategiche cui legare un nuovo, efficace modello di riassetto e rilancio della città. Ciò non è stato, nel grande show mediatico e soprattutto televisivo che ha caratterizzato l’intervento del Governo e del suo rinvigorito braccio operativo della Protezione civile, soprattutto nella fase immediatamente successiva all’emergenza, un intervento tutto votato a dimostrare la geometrica potenza dell’esecutivo, perché capace di risolvere, “per la prima volta in Italia” - l’emergenza residenziale del post sisma, considerata come l’unica, vera questione posta da un terremoto che, nella realtà, poneva problemi di natura sociale ed economica. Qui, più che altrove, e qui, più che in passato. Omettendo ad arte tutte le esperienze precedenti di ricostruzione (Friuli, Irpinia, Umbria e Marche ), e, tra queste, anche e soprattutto quelle virtuose, nella forsennata rincorsa del preteso, immancabile, nuovo “miracolo” aquilano. A partire da queste prime considerazioni, il saggio tenta un bilancio di una vicenda ancora in corso, suggerendo alcune ipotesi di azione e di intervento sviluppate a partire dall'idea dell'università all'Aquila come principale occasione strategica di rigenerazione urbana per la città e l'intera area del "cratere" aquilano. Fanno da corredo al testo numerose immagini di interpretazione dei processi in corso e di prefigurazione progettuale di nuovi interventi per favorire il ritorno dell'università all'interno del centro storico, realizzati all'interno di alcune esperienze didattiche condotte dall'autore nella facoltà di Architettura di Pescara.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.