Il contributo si propone di mettere a fuoco la nozione di “muro” nella sua dimensione storicamente acquisita per farne emergere il radicale snaturamento che a Berlino d’un colpo si è prodotto. Da “segno” che nell’antica accezione di recinto racchiude uno spazio condiviso, che esprime un modo di porsi di una comunità rispetto al mondo del quale è parte e in quanto tale contiene implicito in sé la nozione di movimento tra un interno e un esterno, e quindi è “fine” di precipuo valore simbolico, a Berlino il muro diviene mezzo, puramente materiale, che divide, distrugge una unità nazionale storicamente perseguita e tenacemente difesa. Diviene nella sostanza, negazione di ogni forma di relazione, luogo del silenzio. L’apertura del varco nella domenica mattina del 9 novembre del 1989 rompe il silenzio e cambia la storia del mondo. Il muro ritorna ad essere segno, perde la sua pura materialità e diviene luogo dell’incontro dove le diversità si fondono e la molteplicità, la varietà, l’eterogeneità prendono il campo. Dove in sostanza sulle macerie dell’omologazione forzata esplode la contemporaneità. Attraverso quel varco si mescolano più modi di essere, si confrontano esperienze di vita diverse. Le picconate hanno segnato l’inizio lavori del cantiere che costruirà la nuova Europa, il primo atto di un cammino comune nel segno della reciprocità, dell’adattività, flessibilità, “leggerezza” nei modi di pensare, di agire, di costruire. L’architettura che ha preso posto sui luoghi del muro si è fatta interprete dei significati di questi termini traducendoli in simultaneità, pluridirezionalità, plurifunzionalità, trasparenza degli spazi costruiti per l’incontro, lo scambio interculturale, la condivisione, a contatto diretto con quelle aree limitrofe che attraverso Scharoun e Mies erano state cantiere della Modernità.
Berlino, da "muro" del silenzio a cantiere della contemporaneità
FALASCA, Carmine
2012-01-01
Abstract
Il contributo si propone di mettere a fuoco la nozione di “muro” nella sua dimensione storicamente acquisita per farne emergere il radicale snaturamento che a Berlino d’un colpo si è prodotto. Da “segno” che nell’antica accezione di recinto racchiude uno spazio condiviso, che esprime un modo di porsi di una comunità rispetto al mondo del quale è parte e in quanto tale contiene implicito in sé la nozione di movimento tra un interno e un esterno, e quindi è “fine” di precipuo valore simbolico, a Berlino il muro diviene mezzo, puramente materiale, che divide, distrugge una unità nazionale storicamente perseguita e tenacemente difesa. Diviene nella sostanza, negazione di ogni forma di relazione, luogo del silenzio. L’apertura del varco nella domenica mattina del 9 novembre del 1989 rompe il silenzio e cambia la storia del mondo. Il muro ritorna ad essere segno, perde la sua pura materialità e diviene luogo dell’incontro dove le diversità si fondono e la molteplicità, la varietà, l’eterogeneità prendono il campo. Dove in sostanza sulle macerie dell’omologazione forzata esplode la contemporaneità. Attraverso quel varco si mescolano più modi di essere, si confrontano esperienze di vita diverse. Le picconate hanno segnato l’inizio lavori del cantiere che costruirà la nuova Europa, il primo atto di un cammino comune nel segno della reciprocità, dell’adattività, flessibilità, “leggerezza” nei modi di pensare, di agire, di costruire. L’architettura che ha preso posto sui luoghi del muro si è fatta interprete dei significati di questi termini traducendoli in simultaneità, pluridirezionalità, plurifunzionalità, trasparenza degli spazi costruiti per l’incontro, lo scambio interculturale, la condivisione, a contatto diretto con quelle aree limitrofe che attraverso Scharoun e Mies erano state cantiere della Modernità.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.