L’articolo si propone di valutare l’impatto innovativo del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, sull’art. 1 della legge fallimentare, che disciplina il presupposto soggettivo per l’accesso alla procedura fallimentare. Dopo il richiamo al criterio direttivo contenuto nella legge delega (l. 14 maggio 2005, n. 80), che propugnava un ampliamento della c.d. “no failure zone”, il lavoro si sofferma sull’esame dei parametri di tipo quantitativo introdotti dal legislatore per discriminare il piccolo imprenditore dall’imprenditore non piccolo. Di tali parametri si segnala innanzitutto la loro applicabilità senza alcun adattamento anche alle imprese collettive, in coerenza con l’eliminazione dell’inciso finale dell’art. 1, comma 2°, l. fall., per il quale « in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali ». Ampio spazio è poi dedicato alle principali questioni esegetiche ed applicative sollevate dai concetti di « investimenti » e « ricavi ». Al primo, in particolare, si attribuisce il significato - in linea con la soluzione successivamente adottata in sede di decreto correttivo - di attivo patrimoniale riferito al triennio precedente al fallimento. La parte finale dello scritto affronta la questione interpretativa più spinosa concernente il coordinamento tra il rinnovato art. 1 l. fall. e le norme del codice civile, che rimandano alla nozione di piccolo imprenditore, ovvero gli artt. 2083 e 2221 c.c. Va segnalato che lo scritto era già in bozze quando il Consiglio dei Ministri del 15 giugno 2007 ha approvato in via preliminare lo schema di decreto legislativo recante le disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e al d.lgs. n. 5 del 2006. Le modifiche con esso introdotte hanno confermato le soluzioni che erano già state raggiunte nel presente lavoro.
Il piccolo imprenditore ed il nuovo art. 1 della legge fallimentare
ACCETTELLA, Francesco
2007-01-01
Abstract
L’articolo si propone di valutare l’impatto innovativo del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, sull’art. 1 della legge fallimentare, che disciplina il presupposto soggettivo per l’accesso alla procedura fallimentare. Dopo il richiamo al criterio direttivo contenuto nella legge delega (l. 14 maggio 2005, n. 80), che propugnava un ampliamento della c.d. “no failure zone”, il lavoro si sofferma sull’esame dei parametri di tipo quantitativo introdotti dal legislatore per discriminare il piccolo imprenditore dall’imprenditore non piccolo. Di tali parametri si segnala innanzitutto la loro applicabilità senza alcun adattamento anche alle imprese collettive, in coerenza con l’eliminazione dell’inciso finale dell’art. 1, comma 2°, l. fall., per il quale « in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali ». Ampio spazio è poi dedicato alle principali questioni esegetiche ed applicative sollevate dai concetti di « investimenti » e « ricavi ». Al primo, in particolare, si attribuisce il significato - in linea con la soluzione successivamente adottata in sede di decreto correttivo - di attivo patrimoniale riferito al triennio precedente al fallimento. La parte finale dello scritto affronta la questione interpretativa più spinosa concernente il coordinamento tra il rinnovato art. 1 l. fall. e le norme del codice civile, che rimandano alla nozione di piccolo imprenditore, ovvero gli artt. 2083 e 2221 c.c. Va segnalato che lo scritto era già in bozze quando il Consiglio dei Ministri del 15 giugno 2007 ha approvato in via preliminare lo schema di decreto legislativo recante le disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e al d.lgs. n. 5 del 2006. Le modifiche con esso introdotte hanno confermato le soluzioni che erano già state raggiunte nel presente lavoro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.