Come è noto, il fenomeno della liquefazione è governato dalla generazione e dall’accumulo di eccessi di pressione interstiziale, in occasione di un terremoto, in sabbie sature sciolte. I dati sperimentali mettono in evidenza che l’incremento della pressione interstiziale avviene in risposta alle sollecitazioni cicliche tangenziali a cui un elemento di volume di terreno è sottoposto in condizioni non drenate durante lo scuotimento sismico. Per tale elemento di volume, il valore finale della pressione interstiziale è funzione delle caratteristiche del moto sismico, cioè ampiezza, contenuto in frequenza e numero di cicli, ovvero durata. All’inizio degli anni ’70, quando sono state sviluppate le prime procedure semplificate per la verifica a liquefazione di un sito (Seed e Idriss, 1971), la durata del moto sismico è stata correlata alla magnitudo. Tale approccio all’epoca rappresentava la scelta più razionale in quanto i casi di studio in cui era avvenuta liquefazione non erano generalmente corredati di informazioni sulla durata del moto sismico; inoltre il moto sismico era comunemente caratterizzato da un singolo scenario, ovvero da un’unica coppia magnitudo-distanza. Con questo approccio, quindi, la magnitudo rappresentava in maniera univoca un proxy della durata del moto sismico. Attualmente, a seguito della disposizioni normative in materia antisismica (Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, 2008) che hanno assimilato i più recenti studi per la redazione della mappa di pericolosità del territorio nazionale secondo un approccio probabilistico (http://www. mi.ingv.it/pericolosita-sismica), l’uso della magnitudo come proxy della durata è certamente più problematico. Infatti, un’analisi probabilistica tiene conto di tutti i possibili contributi che derivano dalle diverse sorgenti sismogenetiche che possono influenzare il moto del suolo ad un dato sito. Il valore dell’accelerazione di picco amax (accelerazione massima in superficie), relativo ad un certo tempo di ritorno TR, non è quindi associato a nessuna specifica magnitudo, ma riflette i contributi di tutte le possibili magnitudo legate alle diverse sorgenti sismogenetiche considerate nell’analisi di pericolosità. In altre parole, con un approccio probabilistico si perde il link diretto esistente tra magnitudo e amax. Tuttavia, per un’analisi a liquefazione convenzionale con i metodi semplificati, il progettista deve selezionare una singolo valore di magnitudo. L’approccio prevalente nella pratica ingegneristica è quello di scegliere la magnitudo che si ritiene rappresentativa dello scenario sismico considerato. Allo stato attuale, comunque, non esistono criteri condivisi per la scelta di tale valore e generalmente si opta per quello più cautelativo. Nel seguito, dopo aver brevemente richiamato i principali aspetti della verifica a liquefazione con metodi semplificati, si descrivono alcuni metodi utilizzati in letteratura, per quanto estremamente limitata sull’argomento (p. es. Finn e Wightman, 2007, Lanzo et al., 2014), per la definizione della magnitudo nelle analisi suddette. Infine si illustra un esempio applicativo relativo ad un sito ideale potenzialmente liquefacibile ubicato in Italia Centrale.

Considerazioni sulla scelta della magnitudo nelle analisi di liquefazione con metodi semplificati

PAGLIAROLI, Alessandro;
2014-01-01

Abstract

Come è noto, il fenomeno della liquefazione è governato dalla generazione e dall’accumulo di eccessi di pressione interstiziale, in occasione di un terremoto, in sabbie sature sciolte. I dati sperimentali mettono in evidenza che l’incremento della pressione interstiziale avviene in risposta alle sollecitazioni cicliche tangenziali a cui un elemento di volume di terreno è sottoposto in condizioni non drenate durante lo scuotimento sismico. Per tale elemento di volume, il valore finale della pressione interstiziale è funzione delle caratteristiche del moto sismico, cioè ampiezza, contenuto in frequenza e numero di cicli, ovvero durata. All’inizio degli anni ’70, quando sono state sviluppate le prime procedure semplificate per la verifica a liquefazione di un sito (Seed e Idriss, 1971), la durata del moto sismico è stata correlata alla magnitudo. Tale approccio all’epoca rappresentava la scelta più razionale in quanto i casi di studio in cui era avvenuta liquefazione non erano generalmente corredati di informazioni sulla durata del moto sismico; inoltre il moto sismico era comunemente caratterizzato da un singolo scenario, ovvero da un’unica coppia magnitudo-distanza. Con questo approccio, quindi, la magnitudo rappresentava in maniera univoca un proxy della durata del moto sismico. Attualmente, a seguito della disposizioni normative in materia antisismica (Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, 2008) che hanno assimilato i più recenti studi per la redazione della mappa di pericolosità del territorio nazionale secondo un approccio probabilistico (http://www. mi.ingv.it/pericolosita-sismica), l’uso della magnitudo come proxy della durata è certamente più problematico. Infatti, un’analisi probabilistica tiene conto di tutti i possibili contributi che derivano dalle diverse sorgenti sismogenetiche che possono influenzare il moto del suolo ad un dato sito. Il valore dell’accelerazione di picco amax (accelerazione massima in superficie), relativo ad un certo tempo di ritorno TR, non è quindi associato a nessuna specifica magnitudo, ma riflette i contributi di tutte le possibili magnitudo legate alle diverse sorgenti sismogenetiche considerate nell’analisi di pericolosità. In altre parole, con un approccio probabilistico si perde il link diretto esistente tra magnitudo e amax. Tuttavia, per un’analisi a liquefazione convenzionale con i metodi semplificati, il progettista deve selezionare una singolo valore di magnitudo. L’approccio prevalente nella pratica ingegneristica è quello di scegliere la magnitudo che si ritiene rappresentativa dello scenario sismico considerato. Allo stato attuale, comunque, non esistono criteri condivisi per la scelta di tale valore e generalmente si opta per quello più cautelativo. Nel seguito, dopo aver brevemente richiamato i principali aspetti della verifica a liquefazione con metodi semplificati, si descrivono alcuni metodi utilizzati in letteratura, per quanto estremamente limitata sull’argomento (p. es. Finn e Wightman, 2007, Lanzo et al., 2014), per la definizione della magnitudo nelle analisi suddette. Infine si illustra un esempio applicativo relativo ad un sito ideale potenzialmente liquefacibile ubicato in Italia Centrale.
2014
978-88-940442-2-5
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