L’attrazione che proviamo di fronte alla home page di un Virtual World che ci invita a costruire la nostra “Città Nuova” per “abitare virtuale” in rete attraverso avatar, testimonia una delle molteplici relazioni fra la tecno-cultura digitale e l’idea contemporanea di utopia. Dagli anni ’90, da Second Life a SimCity, le più interessanti sperimentazioni della “Città Virtuale” hanno innescato dei processi interattivi – fra spazio, tempo, informazione, individuo, ecc. – che ampliano le forme dell’abitare contemporaneo nel “Villagio Globale”, proponendo un ulteriore modello di vita associata, in un periodo che sembra evidenziare la crisi dell’esperienza urbana. Un modus vivendi virtualmente agibile attraverso i linguaggi digitali; mondi fertili e mediatici che prediligono il “riciclaggio estetico”; spazi effimeri da abitare non con il corpo ma con la mente, esito di originali ibridazioni tra scienza e arte, tecnologia e umanesimo, locale e globale, in continuità con alcuni caratteri storici del pensiero “Made in Italy”, come quelli legati alla pratica del progetto visionario, ideale e utopico. Concetti storicizzati, questi ultimi, che attraverso i rivoluzionari processi di virtualizzazione e simulazione ampliati e introdotti dal digitale, trovano ulteriori significati e attualizzazioni, alimentando il pensiero architettonico e le sue rappresentazioni. Ma questa nuova idea di virtualità in che modo si declina con quella di utopia? Si tratta effettivamente di una “New Utopia” o forse, come alcuni autori sostengono, di “anti-utopia” – le costrizioni dei software per allestire lo spazio di relazione in rete conformano ancora troppo la nostra creatività –, o di forme di “abitare atopico” – le interazioni empatiche con l’abitare virtuale avvengono prevalentemente attraverso sistemi d’interfaccia bidimensionali che destabilizzano la percezione dello spazio percepito, oscillando troppo fra reale e virtuale –, o di “fantasmologia” – evanescente simulacro dell’abitare per l’”homo ludens”, spesso esito di tendenze generazionali di evasione da un mondo reale che “non basta più”?

La tua città utopica nello spazio digitale

UNALI, Maurizio
2017-01-01

Abstract

L’attrazione che proviamo di fronte alla home page di un Virtual World che ci invita a costruire la nostra “Città Nuova” per “abitare virtuale” in rete attraverso avatar, testimonia una delle molteplici relazioni fra la tecno-cultura digitale e l’idea contemporanea di utopia. Dagli anni ’90, da Second Life a SimCity, le più interessanti sperimentazioni della “Città Virtuale” hanno innescato dei processi interattivi – fra spazio, tempo, informazione, individuo, ecc. – che ampliano le forme dell’abitare contemporaneo nel “Villagio Globale”, proponendo un ulteriore modello di vita associata, in un periodo che sembra evidenziare la crisi dell’esperienza urbana. Un modus vivendi virtualmente agibile attraverso i linguaggi digitali; mondi fertili e mediatici che prediligono il “riciclaggio estetico”; spazi effimeri da abitare non con il corpo ma con la mente, esito di originali ibridazioni tra scienza e arte, tecnologia e umanesimo, locale e globale, in continuità con alcuni caratteri storici del pensiero “Made in Italy”, come quelli legati alla pratica del progetto visionario, ideale e utopico. Concetti storicizzati, questi ultimi, che attraverso i rivoluzionari processi di virtualizzazione e simulazione ampliati e introdotti dal digitale, trovano ulteriori significati e attualizzazioni, alimentando il pensiero architettonico e le sue rappresentazioni. Ma questa nuova idea di virtualità in che modo si declina con quella di utopia? Si tratta effettivamente di una “New Utopia” o forse, come alcuni autori sostengono, di “anti-utopia” – le costrizioni dei software per allestire lo spazio di relazione in rete conformano ancora troppo la nostra creatività –, o di forme di “abitare atopico” – le interazioni empatiche con l’abitare virtuale avvengono prevalentemente attraverso sistemi d’interfaccia bidimensionali che destabilizzano la percezione dello spazio percepito, oscillando troppo fra reale e virtuale –, o di “fantasmologia” – evanescente simulacro dell’abitare per l’”homo ludens”, spesso esito di tendenze generazionali di evasione da un mondo reale che “non basta più”?
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