«L’urbanistica, così come la si pensa oggi non ha più alcun senso» (Rem Koolhaas). Una certezza che provoca smarrimento. L’architetto percepisce il fenomeno urbano come sconcertante, inquietante, sorprendente. Ma non va oltre. Avverte che l’immagine della città non oltrepassa l’effetto retinico. Lo stupore di un attimo. Si rende conto che la sua forma sfugge alla mente. Scomparendo senza lasciare nessuna deposito figurativo. Oramai è diventato «inutile cercarla: più non c’è la città» (Guido Ceronetti). Una constatazione che stenta a diventare patrimonio comune. E invece sarebbe necessario prenderne atto perché se «la città va verso un altro essere o un’altra essenza» e «un giorno dimenticherà persino di chiamarsi “città”» (Jean-Luc Nancy) allora occorre ridefinire l’intero apparato disciplinare con tutta la sua strumentazione analitico-progettuale. È cambiato l’oggetto di studio. Si sono radicalmente trasformati «il quadro intellettuale, il vocabolario e i più intimi riferimenti delle nostre professioni […] tutto il complesso degli antichi valori è oggi inefficace e controproducente; non solo non funziona più, ma paralizza chi deve pensare la città» (Rem Koolhaas). Eppure, si continua pervicacemente a insistere. Con il risultato paradossale che, per tramite delle categorie analitiche tradizionali, «quello che cresce quanto più guardiamo e rovistiamo non è la conoscenza specialistica della città, la competenza della città, ma la nostra attesa» (Aldo Giorgio Gargani). Un’attesa fatta di pensieri e parole che possano conferire senso alla realtà. Pensieri e parole che inizino la ricostruzione di un sapere. Che sappiano oltrepassare i confini disciplinari, disegnando orizzonti più ampi rispetto all’angusto apparato del sapere urbanistico.

Ritrovarsi smarriti. Città e letteratura

CLEMENTE, Antonio Alberto
2007-01-01

Abstract

«L’urbanistica, così come la si pensa oggi non ha più alcun senso» (Rem Koolhaas). Una certezza che provoca smarrimento. L’architetto percepisce il fenomeno urbano come sconcertante, inquietante, sorprendente. Ma non va oltre. Avverte che l’immagine della città non oltrepassa l’effetto retinico. Lo stupore di un attimo. Si rende conto che la sua forma sfugge alla mente. Scomparendo senza lasciare nessuna deposito figurativo. Oramai è diventato «inutile cercarla: più non c’è la città» (Guido Ceronetti). Una constatazione che stenta a diventare patrimonio comune. E invece sarebbe necessario prenderne atto perché se «la città va verso un altro essere o un’altra essenza» e «un giorno dimenticherà persino di chiamarsi “città”» (Jean-Luc Nancy) allora occorre ridefinire l’intero apparato disciplinare con tutta la sua strumentazione analitico-progettuale. È cambiato l’oggetto di studio. Si sono radicalmente trasformati «il quadro intellettuale, il vocabolario e i più intimi riferimenti delle nostre professioni […] tutto il complesso degli antichi valori è oggi inefficace e controproducente; non solo non funziona più, ma paralizza chi deve pensare la città» (Rem Koolhaas). Eppure, si continua pervicacemente a insistere. Con il risultato paradossale che, per tramite delle categorie analitiche tradizionali, «quello che cresce quanto più guardiamo e rovistiamo non è la conoscenza specialistica della città, la competenza della città, ma la nostra attesa» (Aldo Giorgio Gargani). Un’attesa fatta di pensieri e parole che possano conferire senso alla realtà. Pensieri e parole che inizino la ricostruzione di un sapere. Che sappiano oltrepassare i confini disciplinari, disegnando orizzonti più ampi rispetto all’angusto apparato del sapere urbanistico.
2007
9788843041084
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