La necessità di studiare gli apparati decorativi appartenenti ad alcune strutture religiose di età medievale ha permesso di indagare un gruppo di chiese site in Roma. Pitture murali e mosaici costituivano una forte caratterizzazione di tali spazi, e senza questi ultimi l’opera d’arte non avrebbe avuto la sua ragione di essere percepita. Iconografie parietali e strutture architettoniche si integravano perfettamente nella duplice funzione di accogliere e comunicare. Tuttavia, nel corso dei secoli le occasionali e talvolta necessarie trasformazioni di queste strutture architettoniche hanno fatto perdere i primigeni caratteri di alcuni di esse. Da dieci anni in qua gli studiosi di diverse Università hanno diffuso una serie di letture trasversali sull'arte medievale, centrate sugli aspetti percettivi dell’epoca, sui rapporti tra iconografia e architettura, le relazioni tra iconografia ed esegesi, la pittura narrativa, il mosaico come veicolo ideologico, la pittura murale nel contesto strutturale e la svolta della pittura narrativa. Il nostro lavoro segue questo percorso basandosi sulla corrispondenza tra testo e immagine e tra raffigurazione e spazio, considerando principalmente l’articolazione delle strutture architettoniche. La ricerca è stata condotta attraverso l’analisi di documenti iconografici riguardanti le chiese di Santa Costanza, Sant’Urbano alla Caffarella, S. Clemente, S. Silvestro e Martino ai Monti e di Santa Maria Maggiore. Dall’intersezione di tali documenti d’archivio con alcuni testi è stato possibile ricostruire, con modelli tridimensionali digitali, gli antichi edifici che accoglievano le opere d’arte. Ciò al fine di contestualizzarle, dato che attualmente non sono più in loco, con una comunicazione più attuale. La collaborazione con gli storici dell’arte medievale è stata quindi necessaria per poter ricollocare adeguatamente le opere d’arte. Nel presupposto che la raffigurazione è un testo iconografico, e che la sua visibilità all’interno dell’edificio religioso assolveva specifiche funzioni, la ricostruzione virtuale di tali spazi ha permesso di riflettere sul valore assunto dalla percezione all’epoca e attualmente. Il fine è stato quello di comprendere la forza dell’opera d’arte visiva entro l’edificio di appartenenza, attraverso il significato più intrinseco del documento e della trasformazione, iniziando dallo stato attuale del monumento. Si è così recuperato il senso comunicativo di tali opere legato all’articolazione spaziale di un contesto ormai perduto fisicamente.
L'esegesi iconografica nella ricostruzione virtuale di antichi spazi religiosi modificati
P. Tunzi
2018-01-01
Abstract
La necessità di studiare gli apparati decorativi appartenenti ad alcune strutture religiose di età medievale ha permesso di indagare un gruppo di chiese site in Roma. Pitture murali e mosaici costituivano una forte caratterizzazione di tali spazi, e senza questi ultimi l’opera d’arte non avrebbe avuto la sua ragione di essere percepita. Iconografie parietali e strutture architettoniche si integravano perfettamente nella duplice funzione di accogliere e comunicare. Tuttavia, nel corso dei secoli le occasionali e talvolta necessarie trasformazioni di queste strutture architettoniche hanno fatto perdere i primigeni caratteri di alcuni di esse. Da dieci anni in qua gli studiosi di diverse Università hanno diffuso una serie di letture trasversali sull'arte medievale, centrate sugli aspetti percettivi dell’epoca, sui rapporti tra iconografia e architettura, le relazioni tra iconografia ed esegesi, la pittura narrativa, il mosaico come veicolo ideologico, la pittura murale nel contesto strutturale e la svolta della pittura narrativa. Il nostro lavoro segue questo percorso basandosi sulla corrispondenza tra testo e immagine e tra raffigurazione e spazio, considerando principalmente l’articolazione delle strutture architettoniche. La ricerca è stata condotta attraverso l’analisi di documenti iconografici riguardanti le chiese di Santa Costanza, Sant’Urbano alla Caffarella, S. Clemente, S. Silvestro e Martino ai Monti e di Santa Maria Maggiore. Dall’intersezione di tali documenti d’archivio con alcuni testi è stato possibile ricostruire, con modelli tridimensionali digitali, gli antichi edifici che accoglievano le opere d’arte. Ciò al fine di contestualizzarle, dato che attualmente non sono più in loco, con una comunicazione più attuale. La collaborazione con gli storici dell’arte medievale è stata quindi necessaria per poter ricollocare adeguatamente le opere d’arte. Nel presupposto che la raffigurazione è un testo iconografico, e che la sua visibilità all’interno dell’edificio religioso assolveva specifiche funzioni, la ricostruzione virtuale di tali spazi ha permesso di riflettere sul valore assunto dalla percezione all’epoca e attualmente. Il fine è stato quello di comprendere la forza dell’opera d’arte visiva entro l’edificio di appartenenza, attraverso il significato più intrinseco del documento e della trasformazione, iniziando dallo stato attuale del monumento. Si è così recuperato il senso comunicativo di tali opere legato all’articolazione spaziale di un contesto ormai perduto fisicamente.File | Dimensione | Formato | |
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