Il saggio si focalizza sull’eco giornalistica che "Francesca da Rimini" ebbe alla sua prima rappresentazione, avvenuta al Teatro Costanzi di Roma il 9 dicembre 1902. Un dramma, quello dannunziano, oggi probabilmente più noto tra gli storici del giornalismo che tra gli studiosi di letteratura, musica o teatro. Questo perché le quattro recensioni commissionate da Alberto Bergamini sul «Giornale d’Italia» l’11 dicembre 1901 hanno sancito la nascita della Terza pagina, destinata a caratterizzare la storia del giornalismo italiano. Rielaborando il celebre episodio del quinto canto dell’Inferno, d’Annunzio portò in scena – con pathos e originalità – il dissidio tra violenza, passione e tradimento, sulla scorta di un modello, quello dantesco, risemantizzato nel segno del connubio tra arcaismo e innovazione. Si tratta di un aspetto colto dai recensori della prima ora e, in particolare, da Scipio Sighele, che sulla «Nuova Antologia» (16 maggio 1902) constatava l’abilità del poeta nel plasmare personaggi malati, violenti ed efferati (nel caso di Gianciotto e Malatestino), meglio riusciti rispetto alle figure di Paolo e Francesca. D’Annunzio rielabora così un mito letterario, ma anche umano e psicologico, fondato su un’attenta strategia promozionale e comunicativa, come dimostrano anche i tagli apportati anni dopo al testo dell’opera dal giovane Riccardo Zandonai, autore della riduzione in musica dell’opera (rappresentata al teatro Regio di Torino il 19 febbraio 1914). Il ritorno di Francesca al teatro alla Scala nella primavera 2018, ben 39 anni dopo l’ultima rappresentazione al Piermarini, segna la rivalutazione di un’opera a lungo trascurata, ma modernissima nella definizione di temi di attualità come il femminicidio e la violenza in famiglia, in una chiave lirica e psicologica. Aspetti colti dalla stampa nazionale, pressoché unanime nel rilevare la complessità drammatica del testo dannunziano, all’epoca “levigato” da Zandonai e oggi re-interpretato dal regista David Pountney. Un adattamento comunicativo in piena regola, funzionale a mantenere in vita la vicenda tragica di Francesca da Rimini, interpretabile come mito non solo artistico, ma anche giornalistico del nostro tempo.

Nascita della terza pagina: d’Annunzio, Sighele e il mito giornalistico di "Francesca da Rimini"

Lombardinilo
2018-01-01

Abstract

Il saggio si focalizza sull’eco giornalistica che "Francesca da Rimini" ebbe alla sua prima rappresentazione, avvenuta al Teatro Costanzi di Roma il 9 dicembre 1902. Un dramma, quello dannunziano, oggi probabilmente più noto tra gli storici del giornalismo che tra gli studiosi di letteratura, musica o teatro. Questo perché le quattro recensioni commissionate da Alberto Bergamini sul «Giornale d’Italia» l’11 dicembre 1901 hanno sancito la nascita della Terza pagina, destinata a caratterizzare la storia del giornalismo italiano. Rielaborando il celebre episodio del quinto canto dell’Inferno, d’Annunzio portò in scena – con pathos e originalità – il dissidio tra violenza, passione e tradimento, sulla scorta di un modello, quello dantesco, risemantizzato nel segno del connubio tra arcaismo e innovazione. Si tratta di un aspetto colto dai recensori della prima ora e, in particolare, da Scipio Sighele, che sulla «Nuova Antologia» (16 maggio 1902) constatava l’abilità del poeta nel plasmare personaggi malati, violenti ed efferati (nel caso di Gianciotto e Malatestino), meglio riusciti rispetto alle figure di Paolo e Francesca. D’Annunzio rielabora così un mito letterario, ma anche umano e psicologico, fondato su un’attenta strategia promozionale e comunicativa, come dimostrano anche i tagli apportati anni dopo al testo dell’opera dal giovane Riccardo Zandonai, autore della riduzione in musica dell’opera (rappresentata al teatro Regio di Torino il 19 febbraio 1914). Il ritorno di Francesca al teatro alla Scala nella primavera 2018, ben 39 anni dopo l’ultima rappresentazione al Piermarini, segna la rivalutazione di un’opera a lungo trascurata, ma modernissima nella definizione di temi di attualità come il femminicidio e la violenza in famiglia, in una chiave lirica e psicologica. Aspetti colti dalla stampa nazionale, pressoché unanime nel rilevare la complessità drammatica del testo dannunziano, all’epoca “levigato” da Zandonai e oggi re-interpretato dal regista David Pountney. Un adattamento comunicativo in piena regola, funzionale a mantenere in vita la vicenda tragica di Francesca da Rimini, interpretabile come mito non solo artistico, ma anche giornalistico del nostro tempo.
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