Ogni grande filosofo ha avuto probabilmente il suo annus mirabilis, un tempo benedetto da una intuizione così illuminante da rischiarare tutto il percorso successivo della sua ricerca; non sempre ci è dato di conoscere quando questo è avvenuto, soprattutto per quel che riguarda i secoli passati. A volte la percezione del mutamento prodotto dall’intuizione è rimasta inespressa, quasi oscura allo stesso che l’ha sperimentata; è dai frutti che possiamo riconoscerla. Altre volte essa è stata colta e celebrata, come nel caso di Descartes. La sua corrispondenza, così come i suoi scritti, ci mostrano una certa inclinazione a parlare di sé; non stupisce dunque che abbia consegnato un dettagliato resoconto di quella esperienza al suo amico Mersenne nella corrispondenza. Il caso di John Locke è molto diverso. Malgrado di lui, della sua vita privata, letture ed esperienze ci è dato di sapere molto di più di quanto sappiamo di Descartes, grazie alla mole di note manoscritte contenute nei suoi journals, notebooks, e poket memorandum books, una certa ritrosia a parlare di sé, persino nelle lettere agli amici più cari, ci rende difficile determinare quando alcune fondamentali intuizioni balenarono nella sua mente, e a seguito di quali esperienze. D’altra parte, tali intuizioni hanno lasciato alcune tracce nelle note manoscritte del filosofo: sono proprio queste che ci aiutano a formulare qualche ipotesi. Quella che propongo in questo articolo ruota attorno ad un anno della vita di Locke, il 1677, che sembra essere stato davvero fondamentale per lo sviluppo delle sue idee.

L'annus mirabilis di John Locke

Giuliana Di Biase
2018-01-01

Abstract

Ogni grande filosofo ha avuto probabilmente il suo annus mirabilis, un tempo benedetto da una intuizione così illuminante da rischiarare tutto il percorso successivo della sua ricerca; non sempre ci è dato di conoscere quando questo è avvenuto, soprattutto per quel che riguarda i secoli passati. A volte la percezione del mutamento prodotto dall’intuizione è rimasta inespressa, quasi oscura allo stesso che l’ha sperimentata; è dai frutti che possiamo riconoscerla. Altre volte essa è stata colta e celebrata, come nel caso di Descartes. La sua corrispondenza, così come i suoi scritti, ci mostrano una certa inclinazione a parlare di sé; non stupisce dunque che abbia consegnato un dettagliato resoconto di quella esperienza al suo amico Mersenne nella corrispondenza. Il caso di John Locke è molto diverso. Malgrado di lui, della sua vita privata, letture ed esperienze ci è dato di sapere molto di più di quanto sappiamo di Descartes, grazie alla mole di note manoscritte contenute nei suoi journals, notebooks, e poket memorandum books, una certa ritrosia a parlare di sé, persino nelle lettere agli amici più cari, ci rende difficile determinare quando alcune fondamentali intuizioni balenarono nella sua mente, e a seguito di quali esperienze. D’altra parte, tali intuizioni hanno lasciato alcune tracce nelle note manoscritte del filosofo: sono proprio queste che ci aiutano a formulare qualche ipotesi. Quella che propongo in questo articolo ruota attorno ad un anno della vita di Locke, il 1677, che sembra essere stato davvero fondamentale per lo sviluppo delle sue idee.
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