Operare per la cura e la “valorizzazione” del patrimonio culturale e ambientale dei luo- ghi è da sempre uno degli obiettivi principali dell'azione pubblica, e in particolare delle pubbliche amministrazioni a questo compi- to deputate come emanazione diretta dello Stato, come le Soprintendente, fino agli Enti Locali. Questo compito appare sempre più gravoso, soprattutto negli anni della crisi del welfare urbano e del sostanziale fallimento delle politiche pubbliche per le città (P. Ber- dini, 2014), tanto che oggi appare sempre più necessario accompagnare alla claudicante azione pubblica nuove forme di intervento, non necessariamente riconducibili al solo settore privato. La novità di questi ultimi anni, anche in Italia, sta peraltro proprio nel ruolo crescente che anche da parte statale viene ad essere riconosciuto al cosiddetto ter- zo settore - quell'insieme vario ed eterogeneo di associazioni di base, gruppi di cittadini, portatori di interessi e diritti diffusi - proprio nella gestione del patrimonio1. In tale passaggio, diventa centrale riconosce- re al patrimonio culturale e ambientale, pri- ma ancora che un’utilità di tipo economico – evidentemente legata alla cosiddetta “va- lorizzazione”, e allo “sviluppo del turismo”, naturalmente “culturale e ambientale”, o “so- stenibile”, spesso tutta da dimostrare, l’essere parte importante, addirittura costituente di un sistema più vasto, quello dei beni comuni. Una definizione, e un passaggio, che ricono- sce ad essi la qualità fondamentale di essere “funzionali all’esercizio di diritti fondamen- tali e al libero sviluppo della personalità”, e, in quanto tali, oggetto di politiche portino alla loro salvaguardia, “sottraendoli alla logi- ca distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future” (S. Rodotà, 2011). E’ un passaggio non banale, che assegna al patrimonio, e al paesaggio, bene comune per eccellenza, un ruolo e un significato che mol- to spesso molti esegeti della “valorizzazione” tendono a dimenticare, o a ignorare. Ma quali sono, in concreto, gli strumenti che i singoli cittadini hanno a disposizione, intanto, per conoscere la consistenza di tale patrimonio, la localizzazione, il grado di ac- cessibilità, le forme di uso, per non parlare dei progetti di trasformazione e cura, che spesso sono tutt’altro, e che raramente ap- prodano realmente agli esiti annunciati?

L’Osservatorio Beni Comuni dei Castelli Romani, strumento di partecipazione e cittadinanza attiva per la cura e il progetto dei paesaggi dei Colli Albani

Piero Rovigatti
2015-01-01

Abstract

Operare per la cura e la “valorizzazione” del patrimonio culturale e ambientale dei luo- ghi è da sempre uno degli obiettivi principali dell'azione pubblica, e in particolare delle pubbliche amministrazioni a questo compi- to deputate come emanazione diretta dello Stato, come le Soprintendente, fino agli Enti Locali. Questo compito appare sempre più gravoso, soprattutto negli anni della crisi del welfare urbano e del sostanziale fallimento delle politiche pubbliche per le città (P. Ber- dini, 2014), tanto che oggi appare sempre più necessario accompagnare alla claudicante azione pubblica nuove forme di intervento, non necessariamente riconducibili al solo settore privato. La novità di questi ultimi anni, anche in Italia, sta peraltro proprio nel ruolo crescente che anche da parte statale viene ad essere riconosciuto al cosiddetto ter- zo settore - quell'insieme vario ed eterogeneo di associazioni di base, gruppi di cittadini, portatori di interessi e diritti diffusi - proprio nella gestione del patrimonio1. In tale passaggio, diventa centrale riconosce- re al patrimonio culturale e ambientale, pri- ma ancora che un’utilità di tipo economico – evidentemente legata alla cosiddetta “va- lorizzazione”, e allo “sviluppo del turismo”, naturalmente “culturale e ambientale”, o “so- stenibile”, spesso tutta da dimostrare, l’essere parte importante, addirittura costituente di un sistema più vasto, quello dei beni comuni. Una definizione, e un passaggio, che ricono- sce ad essi la qualità fondamentale di essere “funzionali all’esercizio di diritti fondamen- tali e al libero sviluppo della personalità”, e, in quanto tali, oggetto di politiche portino alla loro salvaguardia, “sottraendoli alla logi- ca distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future” (S. Rodotà, 2011). E’ un passaggio non banale, che assegna al patrimonio, e al paesaggio, bene comune per eccellenza, un ruolo e un significato che mol- to spesso molti esegeti della “valorizzazione” tendono a dimenticare, o a ignorare. Ma quali sono, in concreto, gli strumenti che i singoli cittadini hanno a disposizione, intanto, per conoscere la consistenza di tale patrimonio, la localizzazione, il grado di ac- cessibilità, le forme di uso, per non parlare dei progetti di trasformazione e cura, che spesso sono tutt’altro, e che raramente ap- prodano realmente agli esiti annunciati?
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