La presente proposta prende in esame la manipolazione dei serpenti per finalità rituali, di cui esistono testimonianza in Grecia e in Italia. La proposta si concentra sul caso di Cocullo, in provincia dell’Aquila, dove da almeno tre secoli hanno luogo rituali in cui la statua di San Domenico Abate viene ricoperta di serpenti vivi da parte dei locali addomesticatori di serpenti (serpari). Lo studio del rituale di Cocullo da parte degli antropologi e degli storici della religione ha fatto scuola nel panorama italiano, come dimostra la presenza, nel Novecento, di ricercatori, documentaristi e studiosi in ognuna delle annuali manifestazioni di questo rituale. In particolare, Alfonso M. Di Nola (Napoli 1926-Roma 1997) ha osservato il rituale dal 1973 al 1996, mettendo in luce come, nel corso del Novecento, il culto si possa configurare come un deposito stratificato di pratiche collettive economico-alimentari e di dispositivi simbolico-rituali. Sull’onda della lettura di Di Nola, e sulla base dei dati etnografici che ho raccolto in campo nei 40 anni in cui ho osservato questo culto ofidico, evidenzio come la grammatica di questo culto sia passata dalla dimensione locale di “calendario esistenziale” ad una dimensione più ampia, in grado di coinvolgere le culture contemporanee e tale da definirsi “patrimonio culturale”. Il lessico rituale dei serpari ha assunto, in questo modo, un valore universale, funzionale all’assolvimento dei bisogni popolari (evasione dalla routine, sovvertimento/riconferma delle regole sociali, esaltazione delle identità particolari), ma anche all’assolvimento dei bisogni educativi istituzionalizzati (riplasmazione dei valori comunitari in senso più ampio e proficuo, rigenerazione del tempo e dei rapporti interpersonali, rigenerazione del rapporto con lo spazio selvatico e con le aree protette, ricollocazione del passato del presente). Queste sono le complesse implicazioni dell’universalizzazione di un’eredità culturale che, in tal modo, soddisfa funzioni diverse, tanto da non essere più un valore di pochi, ma un valore collettivo, cioè un “patrimonio culturale”.

Antropologia e piccoli paesi. La modernizzazione della tradizione come risorsa per la salvaguardia ambientale

Lia Giancristofaro
2019-01-01

Abstract

La presente proposta prende in esame la manipolazione dei serpenti per finalità rituali, di cui esistono testimonianza in Grecia e in Italia. La proposta si concentra sul caso di Cocullo, in provincia dell’Aquila, dove da almeno tre secoli hanno luogo rituali in cui la statua di San Domenico Abate viene ricoperta di serpenti vivi da parte dei locali addomesticatori di serpenti (serpari). Lo studio del rituale di Cocullo da parte degli antropologi e degli storici della religione ha fatto scuola nel panorama italiano, come dimostra la presenza, nel Novecento, di ricercatori, documentaristi e studiosi in ognuna delle annuali manifestazioni di questo rituale. In particolare, Alfonso M. Di Nola (Napoli 1926-Roma 1997) ha osservato il rituale dal 1973 al 1996, mettendo in luce come, nel corso del Novecento, il culto si possa configurare come un deposito stratificato di pratiche collettive economico-alimentari e di dispositivi simbolico-rituali. Sull’onda della lettura di Di Nola, e sulla base dei dati etnografici che ho raccolto in campo nei 40 anni in cui ho osservato questo culto ofidico, evidenzio come la grammatica di questo culto sia passata dalla dimensione locale di “calendario esistenziale” ad una dimensione più ampia, in grado di coinvolgere le culture contemporanee e tale da definirsi “patrimonio culturale”. Il lessico rituale dei serpari ha assunto, in questo modo, un valore universale, funzionale all’assolvimento dei bisogni popolari (evasione dalla routine, sovvertimento/riconferma delle regole sociali, esaltazione delle identità particolari), ma anche all’assolvimento dei bisogni educativi istituzionalizzati (riplasmazione dei valori comunitari in senso più ampio e proficuo, rigenerazione del tempo e dei rapporti interpersonali, rigenerazione del rapporto con lo spazio selvatico e con le aree protette, ricollocazione del passato del presente). Queste sono le complesse implicazioni dell’universalizzazione di un’eredità culturale che, in tal modo, soddisfa funzioni diverse, tanto da non essere più un valore di pochi, ma un valore collettivo, cioè un “patrimonio culturale”.
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Dialoghi Mediterranei » Antropologia e piccoli paesi. La modernizzazione della tradizione come risorsa per la salvaguardia ambientale » Print.pdf

accesso aperto

Tipologia: PDF editoriale
Dimensione 441.05 kB
Formato Adobe PDF
441.05 kB Adobe PDF Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11564/745781
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact