Insieme con monasteri e conventi, le abbazie di Puglia formano una rete di fabbriche che della regione ha segnato fortemente il territorio, soprattutto laddove le circostanze ambientali le hanno inserite in un circuito virtuoso di causa ed effetto e incluso la loro storia in una vicenda di larghissimo orizzonte, non soltanto temporale. È quanto accaduto sul Gargano, la “Terra di Capitanata”, a nord della regione, dove la diffusione del cristianesimo è stata veicolata dalla presenza di strade antiche e nuove aventi le loro tappe proprio nelle fabbriche religiose nate lungo il loro percorso. Le abbazie sono tra queste, e sono accomunate le une alle altre non tanto dal nome quanto, ad oggi, da uno stato di conservazione che, certo anche in virtù della loro lontananza dai centri abitati, è di abbandono e degrado, eleggendo queste circostanze a pretesto sufficiente per tornare a parlare di loro e reclamarne un destino all’altezza dei valori in gioco. Delle sette abbazie acclarate dalla storiografia, c’è il caso estremo di S. Maria di Ruggiano in territorio di Monte S. Angelo, di cui non resta alcuna traccia, e la condizione di rudere di S. Maria di Càlena (XI sec.), di S. Pietro in Cuppis (XI sec.), di SS.ma Trinità a Monte Sacro (XII sec.) e S. Giovanni in Piano (XI sec.). Una situazione appena migliore è quella di S. Leonardo in Lama Volara (XII sec.), di recente interessata da un intervento di restauro della chiesa e dell’ospedale, e in qualche modo anche della chiesa residua di S. Maria di Ripalta (XI-XII sec.), al netto ovviamente delle tante trasformazioni subite. Eppure, Càlena e le altre, come nel titolo del presente contributo, restano nonostante tutto presenze mirabili, con impianti e apparati decorativi che sono, ad una lettura accurata, ancora leggibili, anche perché messe a nudo da un ritorno alla natura che ne ha svelato la cultura materiale più recondita e chiarito spesso provenienze e palinsesti. Sicché ogni fabbrica è un libro aperto sulle altre, a conferma di legami senza tempo dove si rinvengono aspetti ed episodi analoghi pur differenziati nella loro identità. Arcate, portici, decorazioni, corredi scultorei, segni lapicidi, sono solo alcuni dei molteplici aspetti che proprio nella varietà sottolineano l’individualità di ogni fabbrica e ne confermano l’unicità di approccio, sia in termini di conoscenza che di tutela e conservazione.

Abbazie di Puglia. Càlena e le altre

verazzo, clara
;
serafini, lucia
2020-01-01

Abstract

Insieme con monasteri e conventi, le abbazie di Puglia formano una rete di fabbriche che della regione ha segnato fortemente il territorio, soprattutto laddove le circostanze ambientali le hanno inserite in un circuito virtuoso di causa ed effetto e incluso la loro storia in una vicenda di larghissimo orizzonte, non soltanto temporale. È quanto accaduto sul Gargano, la “Terra di Capitanata”, a nord della regione, dove la diffusione del cristianesimo è stata veicolata dalla presenza di strade antiche e nuove aventi le loro tappe proprio nelle fabbriche religiose nate lungo il loro percorso. Le abbazie sono tra queste, e sono accomunate le une alle altre non tanto dal nome quanto, ad oggi, da uno stato di conservazione che, certo anche in virtù della loro lontananza dai centri abitati, è di abbandono e degrado, eleggendo queste circostanze a pretesto sufficiente per tornare a parlare di loro e reclamarne un destino all’altezza dei valori in gioco. Delle sette abbazie acclarate dalla storiografia, c’è il caso estremo di S. Maria di Ruggiano in territorio di Monte S. Angelo, di cui non resta alcuna traccia, e la condizione di rudere di S. Maria di Càlena (XI sec.), di S. Pietro in Cuppis (XI sec.), di SS.ma Trinità a Monte Sacro (XII sec.) e S. Giovanni in Piano (XI sec.). Una situazione appena migliore è quella di S. Leonardo in Lama Volara (XII sec.), di recente interessata da un intervento di restauro della chiesa e dell’ospedale, e in qualche modo anche della chiesa residua di S. Maria di Ripalta (XI-XII sec.), al netto ovviamente delle tante trasformazioni subite. Eppure, Càlena e le altre, come nel titolo del presente contributo, restano nonostante tutto presenze mirabili, con impianti e apparati decorativi che sono, ad una lettura accurata, ancora leggibili, anche perché messe a nudo da un ritorno alla natura che ne ha svelato la cultura materiale più recondita e chiarito spesso provenienze e palinsesti. Sicché ogni fabbrica è un libro aperto sulle altre, a conferma di legami senza tempo dove si rinvengono aspetti ed episodi analoghi pur differenziati nella loro identità. Arcate, portici, decorazioni, corredi scultorei, segni lapicidi, sono solo alcuni dei molteplici aspetti che proprio nella varietà sottolineano l’individualità di ogni fabbrica e ne confermano l’unicità di approccio, sia in termini di conoscenza che di tutela e conservazione.
2020
979-12-200-9282-1
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