Di recente, seppur in un mutato contesto costituzionale, si è parlato di una “sopravvivenza” della nozione di atto politico che, secondo l’art. 31 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, (norma tuttora vigente), è sottratto a qualsiasi sindacato giurisdizionale. Il giudice amministrativo, infatti, in alcune pronunce ha attribuito la natura di atto politico all’atto di nomina e di revoca dell’incarico di assessore comunale da parte del Sindaco, sebbene non vi sia per gli atti di governo degli enti locali una norma analoga a quella dettata dall’art. 31 delle Leggi sul Consiglio di Stato per gli atti emanati dal Governo nell’esercizio del suo potere politico. Tuttavia, ad un’attenta analisi, è possibile ritenere che non occorre “scomodare” la categoria dell’atto politico, insindacabile, per giustificare la sottrazione da qualsiasi controllo giurisdizionale delle scelte strategiche operate dagli organi di governo, a qualsiasi livello, delle pubbliche amministrazioni. Quando un organo di direzione politica emana un provvedimento nell’esercizio della sua attività di indirizzo politico e programmatico, scegliendo i fini da perseguire per la tutela degli interessi della struttura cui l’organo appartiene, si configura un’attività del tutto discrezionale, nel cui espletamento l’organo compie valutazioni ed apprezzamenti circa l'opportunità, l'utilità, la convenienza e la giustizia di una certa scelta. In pratica, viene in rilievo il cd. merito amministrativo, considerato l'elemento specializzante della funzione degli organi della P.A., sottratto, com’è noto, ai poteri di indagine giurisdizionale in sede di legittimità. Dunque, l’insindacabilità di tale categoria di atti deriva non dall’applicazione dell’art. 31 del T.U. delle Leggi sul Consiglio di Stato, ma dal fatto che si tratta per lo più di una scelta implicante apprezzamento che esula dal raggio di azione del sindacato di legittimità del giudice amministrativo.

L' "atto politico" nel governo degli enti locali

FANTI, VERA
2008-01-01

Abstract

Di recente, seppur in un mutato contesto costituzionale, si è parlato di una “sopravvivenza” della nozione di atto politico che, secondo l’art. 31 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, (norma tuttora vigente), è sottratto a qualsiasi sindacato giurisdizionale. Il giudice amministrativo, infatti, in alcune pronunce ha attribuito la natura di atto politico all’atto di nomina e di revoca dell’incarico di assessore comunale da parte del Sindaco, sebbene non vi sia per gli atti di governo degli enti locali una norma analoga a quella dettata dall’art. 31 delle Leggi sul Consiglio di Stato per gli atti emanati dal Governo nell’esercizio del suo potere politico. Tuttavia, ad un’attenta analisi, è possibile ritenere che non occorre “scomodare” la categoria dell’atto politico, insindacabile, per giustificare la sottrazione da qualsiasi controllo giurisdizionale delle scelte strategiche operate dagli organi di governo, a qualsiasi livello, delle pubbliche amministrazioni. Quando un organo di direzione politica emana un provvedimento nell’esercizio della sua attività di indirizzo politico e programmatico, scegliendo i fini da perseguire per la tutela degli interessi della struttura cui l’organo appartiene, si configura un’attività del tutto discrezionale, nel cui espletamento l’organo compie valutazioni ed apprezzamenti circa l'opportunità, l'utilità, la convenienza e la giustizia di una certa scelta. In pratica, viene in rilievo il cd. merito amministrativo, considerato l'elemento specializzante della funzione degli organi della P.A., sottratto, com’è noto, ai poteri di indagine giurisdizionale in sede di legittimità. Dunque, l’insindacabilità di tale categoria di atti deriva non dall’applicazione dell’art. 31 del T.U. delle Leggi sul Consiglio di Stato, ma dal fatto che si tratta per lo più di una scelta implicante apprezzamento che esula dal raggio di azione del sindacato di legittimità del giudice amministrativo.
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