Tra le città invisibili di Italo Calvino merita una particolare attenzione Anastasia, la città ingannatrice. Lì è possibile comprare vantaggiosamente agata onice e crisopazi, ma in fondo in questa città, in cui si crede di poter godere di tutti gli agi, è menzognera, perché gode dei desideri frustrati dei suoi abitanti. L’assunto da cui parte l’articolo è che le megalopoli contemporanee siano una reiterazione del racconto di Anastasia. Se così fosse, che cosa è rimasto dell’ideale della città, della sua costruzione razionale come polis, che per Aristotele poteva reggersi sulla virtù dell’amicizia, ma con determinati principi e anche limiti nel numero dei suoi abitanti? E ancora che cosa è rimasto dell’utopia del Garden City – in cui si sarebbero dovuti compenetrare agi e salubrità di ambiente cittadino e rurale – ripresa da progettazioni del 900 anche in Italia (Le vele, ZEN)? La realtà odierna è un’altra: oggi l’80% della popolazione mondiale vive nelle città, e nelle città vive più gente di quanti erano gli abitanti del pianeta nel 1950. Inoltre un altro aspetto da non trascurare è che le più grandi megalopoli del mondo non sono “occidentali” (Tokyo, Jakarta, Dehli, Manila). Quale astuzia possiamo escogitare per opporci alle menzogne sulla realizzabilità dei nostri desideri solo per mezzo della loro urbanizzazione? Siamo destinati a soccombere senza possibilità di sfuggire alle lusinghe ingannatrici di Anastasia, oppure dobbiamo re-iniziare a pensare la città? Dobbiamo necessariamente smontare il mito dell’abitare dichterisch proposto da Heidegger, perché menzognero, e relegarlo a un romanticismo inattuale, dato che ha lasciato il posto a una vera e propria sparizione dei luoghi a favore della frammentarietà degli incontri come propone Nancy? Forse sarebbe più fruttuoso partire da una rinnovata consapevolezza di quello che la città è stata e continua a essere, anche nel mondo digitalizzato odierno: un incontro di corpi, come ci suggerisce Marcel Hénaff.

Anastasia, la città ingannatrice

Virgilio, Cesarone
2024-01-01

Abstract

Tra le città invisibili di Italo Calvino merita una particolare attenzione Anastasia, la città ingannatrice. Lì è possibile comprare vantaggiosamente agata onice e crisopazi, ma in fondo in questa città, in cui si crede di poter godere di tutti gli agi, è menzognera, perché gode dei desideri frustrati dei suoi abitanti. L’assunto da cui parte l’articolo è che le megalopoli contemporanee siano una reiterazione del racconto di Anastasia. Se così fosse, che cosa è rimasto dell’ideale della città, della sua costruzione razionale come polis, che per Aristotele poteva reggersi sulla virtù dell’amicizia, ma con determinati principi e anche limiti nel numero dei suoi abitanti? E ancora che cosa è rimasto dell’utopia del Garden City – in cui si sarebbero dovuti compenetrare agi e salubrità di ambiente cittadino e rurale – ripresa da progettazioni del 900 anche in Italia (Le vele, ZEN)? La realtà odierna è un’altra: oggi l’80% della popolazione mondiale vive nelle città, e nelle città vive più gente di quanti erano gli abitanti del pianeta nel 1950. Inoltre un altro aspetto da non trascurare è che le più grandi megalopoli del mondo non sono “occidentali” (Tokyo, Jakarta, Dehli, Manila). Quale astuzia possiamo escogitare per opporci alle menzogne sulla realizzabilità dei nostri desideri solo per mezzo della loro urbanizzazione? Siamo destinati a soccombere senza possibilità di sfuggire alle lusinghe ingannatrici di Anastasia, oppure dobbiamo re-iniziare a pensare la città? Dobbiamo necessariamente smontare il mito dell’abitare dichterisch proposto da Heidegger, perché menzognero, e relegarlo a un romanticismo inattuale, dato che ha lasciato il posto a una vera e propria sparizione dei luoghi a favore della frammentarietà degli incontri come propone Nancy? Forse sarebbe più fruttuoso partire da una rinnovata consapevolezza di quello che la città è stata e continua a essere, anche nel mondo digitalizzato odierno: un incontro di corpi, come ci suggerisce Marcel Hénaff.
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