Una recente sentenza della Corte costituzionale fornisce l’occasione per riflettere sui margini del diritto di “difendersi provando” dell’indagato, con particolare attenzione al caso in cui, raggiunto da un provvedimento di archiviazione per scadenza del termine prescrittivo, egli intenda sollecitarne la rimozione per rinunciare alla causa estintiva del reato e dimostrare, nel processo, la propria estraneità ai fatti. L’assetto, che la Consulta non ha ritenuto costituzionalmente illegittimo, non è regolato dal codice di rito, che non offre strumenti per contrastare l’inazione indesiderata. La situazione si complica quando il G.i.p., pur archiviando, finisca per affermare la responsabilità dell’indagato: in quelle ipotesi, è necessario evitare violazioni alla presunzione di non colpevolezza, pur in mancanza di rimedi effettivi contro il provvedimento archiviativo.
Distorsioni sul diritto “di difendersi provando” dell’indagato, archiviazione e presunzione di non colpevolezza
Francesco Trapella
2024-01-01
Abstract
Una recente sentenza della Corte costituzionale fornisce l’occasione per riflettere sui margini del diritto di “difendersi provando” dell’indagato, con particolare attenzione al caso in cui, raggiunto da un provvedimento di archiviazione per scadenza del termine prescrittivo, egli intenda sollecitarne la rimozione per rinunciare alla causa estintiva del reato e dimostrare, nel processo, la propria estraneità ai fatti. L’assetto, che la Consulta non ha ritenuto costituzionalmente illegittimo, non è regolato dal codice di rito, che non offre strumenti per contrastare l’inazione indesiderata. La situazione si complica quando il G.i.p., pur archiviando, finisca per affermare la responsabilità dell’indagato: in quelle ipotesi, è necessario evitare violazioni alla presunzione di non colpevolezza, pur in mancanza di rimedi effettivi contro il provvedimento archiviativo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.